UN RAGGIO DI SOLE, Cap. 2

Lei vibrò di un’inattesa, sovvertente emozione, sia al sentire quella vellutata voce, penetrante, impietosamente insidiosa che le aveva soggiogato il canale uditivo fino ad insinuarsi spietato nella sua mente, sia al percepire il calore delle mani di lui. Era come se ancora le stesse sfiorando la pelle, come se quel calore, propagatosi in un soffio dal punto centrato, le arroventasse, traumatizzandola, ogni microscopica fibra muscolare.

Ma si ricompié lestissima e, per mezzo di un conveniente, algente distacco permeato altresì dalla sua inflessione, «Può chiamarmi Dea e darmi anche del tu, non sono una persona così formale» lo indusse, nell’intento di sviare, mediante queste opportune parole, il prosperoso tremito che si era impossessato di lei.

Non poteva farsi incantare con così poco, questo era imprescindibile, specialmente da un tipo analogo che di certo ne cambiava una in ogni porto di mare, o forse finanche di più.

«E tu puoi chiamarmi Russell» la invitò lui, ornando uno sguardo che la fece di nuovo tremare, a dir niente irresistibile, esageratamente sublime, tanto che stavolta la spedì dritta dritta in disfacimento completo.

«No» ma rifiutò, di un rapido slancio, secca e ferrea.

Lui incurvò un sopracciglio, lautamente stupito. «E perché mai?»

«Preferisco mantenere le distanze, signor Bowen, e questo solo per rimanere con i piedi e la testa ben ancorati a terra, se non le dispiace.»

Russell esordì subito in una calda risata, intrigato, di un tale coinvolgente che Dea rimase sensivamente abbarbagliata dalla luce che effondeva la sua espressione dilettata. Non aveva mai fatto caso che quell’uomo fosse così fulgente, neanche in tutte le volte che lo aveva visto, o piuttosto, ammirato in qualche programma televisivo in cui era stato ospite, benché nei suoi film stillasse appieno quel suo magnetismo, quel forte carisma che ora lei, per una magica, meravigliosa fatalità, si ritrovava a riscontrare di persona.

Era proprio vero, meditò, nel tempo in cui si percepiva ancora intrappolata da quella rara, spettacolare visione. Per conoscere una persona bisognava necessariamente guardarla negli occhi, si poteva carpirne l’essenza soltanto tramite l’espressione del volto, dal vivo.

«Vieni, andiamo» la sollecitò lui, indirizzandole un consueto sorriso affabile, e le adagiò morbidamente una mano sulla schiena scoperta, per sospingerla fuori dall’hotel.


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Lei, a quel reiterato, rovente contatto, sobbalzò al pari di un congegno a scatto, e Russell la guardò incuriosito, ma molto concentrato, sempre più intrigato.

«Non avrai paura di me?» presunse, nell’aver individuato la tensione che lei manifestava attraverso la piena rigidità della sua postura.

«No… è che…» Non sapeva cosa dire, anche per lei quelle reazioni erano risultate insolite, era come se al solo sfiorarla, lei avvertisse un gigantesco brivido dipanarsi in ogni dove del suo corpo. E sinceramente le capitava di rado di sentirsi talmente imbarazzata, così eccessivamente inibita, ma in fondo era più che naturale, poiché a conti fatti era, in sostanza, il minimo sindacale.

Sì, perché il ritrovarsi in questa situazione, fungere da accompagnatrice al famosissimo Russell Bowen, il quale oltretutto si era rivelato ancor più affascinante di quanto avesse presunto, di come lo si ravvisasse attraverso lo schermo, avrebbe senza dubbio inibito chiunque. E lei, essendo alla base una persona comune, era poi normale che ne subisse conseguenze similari, anzi, effetti così detronizzanti, per non dire devastanti.

«Non aver nessun timore» la soccorse lui, in un mormorio amabile, estirpandola dal suo eloquio interiore. «Andrà tutto bene, e stai tranquilla, pian piano ti scioglierai.»

«Cioè?» guizzò lei, sospettosa, nella fulminea paura che l’uomo avesse intuito l’origine del suo disagio.

«Che essere così tesa non ti aiuterà di sicuro ad affrontare idoneamente la serata, sono persone comuni, sai, e non molto diverse da tante altre» le evidenziò, graziandola di un ulteriore sorriso rincuorante.

«Vogliamo andare?» si frappose Warren, piuttosto irrequieto, pure un po’ frastornato dall’inusitato atteggiamento di Russell, o più che altro dall’invisibile campo magnetico che quei due si sprigionavano a vicenda. Era come se un legame incorporeo li unisse, estraniandoli da tutto ciò che risiedeva intorno a loro.

«Certo» indulse Russell, senza scomporsi, e si volse di nuovo verso Dea, porgendole il braccio destro per invitarla a seguirlo.

Lei ci si praticamente aggrappò, e adagio uscirono dalla hall, diretti verso la limousine che li attendeva posteggiata di fronte all’albergo.

Il tragitto fu breve e questo non la aiutò senz’altro a rilassarsi, anche se la genuina, ineffabile tranquillità di quell’uomo le elargiva un’inestimabile sicurezza. Riusciva a trasfondergliela con una semplice parola, persino unicamente nel guardarla.

«Ci siamo, ecco Hollywood Boulevard» segnalò Warren ad un certo punto, e Dea s’irrigidì alla stregua di una corda di violino.

Russell la osservò comprensivo, immaginava come si potesse sentire, per cui adornò un ennesimo sorriso per rassicurarla. «Sei pronta?»

«A dire il vero, proprio no…» ammise Dea, inconsultamente sospirosa. «Ho paura di farvi riscuotere una pessima figura, specie in una così importante celebrazione. È la prima volta che mi capita di partecipare ad un evento del genere.»

«Non è poi così difficile, basta che ti lasci andare. Fai finta di essere ad una sfilata, presumo che tu sia abituata a stare al centro dell’attenzione, dico bene?»

«E perché mai?» lo beccò, irritata, trapelando un dato fastidio dalla sua domanda, nel non intuire se tale asserzione occultasse un sottile messaggio di scherno.

Lui esibì un prologante inchino con il capo per stemperare. «Sei una donna molto bella, Dea, e sono grandemente convinto che il tuo passaggio, ordinariamente, non passi inosservato.»

«Mi sta forse adulando?» sondò la donna, mentre lo scrutava diffidente, arricciando la parte iniziale delle sue sopracciglia. «Oppure, forse, si sta prendendo gioco di me? Se fosse così, vorrei farle presente che non sono una sciocca sprovveduta. Questa è solo una situazione del tutto inusuale per me, punto e basta.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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