KALERIYA, Cap. 1

«E chi me lo dice, tu?» lo ghettizzò, sollevando baldanzosa il mento, per quanto le fosse fattibile data la presa villanamente aggressiva che la comprimeva alla parete. «Libero arbitrio, Mein Führer, o questa politica è estranea a quella aziendale, alla tua politica?»

«Esatto, in questa sede il libero arbitrio non esiste» officiò lui, dopo averle lanciato un sorrisetto ironico, sfoggiandole in simultanea un fare ancor più malignante.

«Mhmm…» si snervò lei, stralunando con foga gli occhi che scostò alla sua destra. «Sei un megalomane.»

«Può darsi» aderì lui, e le strinse di più le guance per farsi nuovamente guardare negli occhi. «Cosa c’è, perché non mi guardi.»

«Perché non mi piace la tua faccia, la tua arroganza, e di solito non guardo coloro che non stimo» lo dissacrò, senza troppo tergiversare, sicura che più tanto non avrebbe colto nel segno, dato il soggetto esageratamente sicuro di sé che aveva dinanzi.

Eppure, a tali parole Kyle si contrasse, sovrastato da un miscuglio di irritazione ed istintività, sul serio colpito nel suo ego, il quale lo indusse a smarrire la padronanza di sé, forse il rispetto di se stesso, della sua delicata posizione professionale.

In un atto fulmineo, incontrastabile, le catturò la bocca in un bacio molto più che prepotente, imperioso, talmente dispotico che lei non poté evitare di accogliere. Così coinvolgente che dischiuse subito le labbra e lo ricambiò, ma sempre con le braccia distese lungo i suoi fianchi per non accordargli soddisfazione completa, integrale vittoria.

Kyle se ne fece un baffo, avendo scavalcato se stesso, nulla più lo inibì dopo il suo svincolante gesto. Sicché discesero le sue mani per raggiungerle le anche, e la issò tempestoso verso di lui, magneticamente aderente, serrandola dirompente alle natiche. Rese quel bacio vorace ma punitivo, come se avesse ambito a dominarla, demolirne la temeraria sfrontatezza, asservirla mediante la sua potenza fisica ed emotiva.

Sheila avvertì una sorta di capogiro, pressoché suggestionata, soggiogata a tal punto, che inavvertitamente gli si aggrappò alle spalle. Un’azione che lui attendeva, tant’è che in un lampo, la sollevò per farla sedere sulla workstation.

S’insinuò tra le sue gambe, invasivo, tirandole su la gonna per intrufolarcisi coi palmi affamati, e allorché si accorse che la donna indossava collant autoreggenti, all’istante ne approfittò. Avidamente s’arrampicò per beneficiare della sua rovente pelle, il cui contatto per poco non lo fece infiammare.


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E continuò a baciarla, ad invaderla tumultuoso, sinché le sue mani non pretesero di più. Una di esse s’introdusse al disotto della bianca e setosa camicia di lei, impaziente di poter sentire la sua nuda carne, assolutamente invitante, e nel momento in cui lo attuò, s’infiammò per davvero.

Con un ennesimo scatto, ancor più imprevisto dei precedenti, la sollevò di nuovo e la distese sul divanetto ubicato contro una parete, coprendola istantaneamente col suo corpo. Cominciò a baciarla sul collo, rincorrendo con le labbra le sue mani che le sbottonavano la camicia per poter vedere, toccare e sentire, di un simile passionale, di un tale assoluto irresistibile che Sheila, sempre più asservita, visceralmente calamitata, si lasciò fare, si lasciò toccare, quasi penetrare da quelle dita fameliche ed autoritarie.

Ma appena lui s’impossessò di una sua inerme escrescenza con la bocca, istintivamente lei si piegò all’indietro, forse per offrirsi, per farsi travolgere, forse elettrizzata dal contesto, una autentica trasgressione. Essere lì, con la porta aperta, qualsiasi persona che sarebbe potuta entrare, era un’avventura mai vissuta prima di quel tempo, cosa che le inoculò una così elettrica esaltazione, un desiderio talmente incontenibile, che si fece plasmare da quelle torride mani, si distese totalmente sul divano. Lo invitò a possederla, si offrì in modo integrale.

Kyle ansimava, era inebriato, imponentemente stimolato. In un batter d’occhio si sbarazzò della giacca e la scagliò a terra, ma poi di colpo si sbarrò, le abbrancò il volto con le dita e la guardò. Attese che lei riaprisse gli occhi.

Sheila si avvide ch’egli si era immobilizzato e dischiuse incuriosita le palpebre, rimanendo repentinamente sconcertata dal bagliore di quelle iridi cangianti, a metà cammino tra l’iridato ardesia e il ghiaccio opalescente, quella sorta di sorriso beffardo, sempre inquietante ma clamorosamente sensuale, oltremodo divino al tempo stesso.

«Riuscirò a scoprire chi sei.»

Lei spalancò le ciglia, un po’ perturbata, e non per le parole, per l’acclarato senso che racchiudevano, ben sbeffante, quanto per lo sguardo, quella vertiginosa luce, la bellezza a momenti diabolica di quest’uomo, mista di freddezza, forse crudezza, e passionalità. Imperturbabilità ma fuoco, agli arcani antipodi.

La quasi ipnotizzava, era incomparabilmente ammaliante nella paradossalità del proprio essere.

Kyle insisteva a scrutarla silente, enigmatico ma affascinato, maestosamente intrigato, poi passò oltre, essendo che gli interessava ben altro al momento. Le liberò il viso e riprese ad esplorarle la fragrante tessitura del décolleté con la bocca, scendendo sempre più giù, finché non raggiunse la sua ambita meta e, quasi di corsa, le tirò interamente la gonna fino alla vita e le sfilò gli slip. Con altrettanta corsa la prese, di un’esagerata velocità, imprevedibilità, che seriamente Sheila restò ipnotizzata. Forse plagiata.

E quando lo sentì dentro di sé, un portentoso calore in lei divampò, precipitoso, singolarmente irruente, cosa che esacerbò in lui quel desiderio, anch’esso placato in davvero pochissimi secondi.

Ansarono, si stordirono, lui addossò la fronte sul divano, accanto alla sua guancia, lei aveva gli occhi sbarrati al soffitto, incredula, non riuscendo a capacitarsi di ciò che era accaduto, che per rapidità, spettacolarità, per quanto inusuale, credé per un attimo che fosse stato un sogno, una mera illusione.

Ma d’un tratto si udì bussare, e Kyle come un fulmine sbalzò prontissimo dal sofà. Si riordinò celermente i vestiti, s’infilò la giacca, raccolse i suoi slip e glieli tese.

«Vestiti, chiunque sia cercherò di tenerlo fuori dalla stanza per qualche minuto, affinché tu abbia il tempo indispensabile per sistemarti.»

Lei assentì imbambolata, si accinse ad erigersi dal divano ed iniziò a ricomporsi, mentre lui usciva rapidamente dalla porta.

Era assai più che frastornata. «Ma che diavolo è successo… che cosa ho fatto…?» si allucinò, sottovoce, rimettendosi pian piano in piedi per rigovernarsi gli abiti, e un violento rossore le s’infiammò alle guance ch’ella incominciò a strofinarsi con impeto, sgomenta, radicalmente spaesata. «Santo cielo, devo andare via da qui…»

Il suo sguardo annebbiato si posò casualmente sul monitor, pressoché strabuzzante, ma lei si rese lo stesso conto che il software aveva miracolosamente completato il recupero dei file.

Celerrima si approssimò al PC, controllò il database per verificare se fossero stati copiati e a spron battuto formattò il secondo hard disk. Creò la partizione, estrasse il CD, la memory pen, racimolò come una saetta le sue cose e si catapultò fuori dalla stanza.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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