Il SOGNO È SEMPRE, Cap. 3

Majka concluse la telefonata ridendo, estesamente felice che Hollie avesse reagito con tanta tranquillità, nell’averla nientemeno persuasa ad accettare. Era una persona davvero eccezionale, d’un altruismo e di una giovialità introvabili, un po’ il contrario di lei in certe circostanze, lei che talora si era ritrovata a sacrificare le esigenze di una persona amica, una persona a cui teneva, in sostanza a comportarsi come se vivesse nella giungla, ad attenersi a un mero criterio di sopravvivenza.

Ma a conti fatti Hollie viveva a Beverly Hills, la madre era un’attrice rinomata ed il padre un eccellente produttore cinematografico, ragion per cui la donna beneficiava di una vita agiata, anche se manifestava un ammirevole orgoglio, il volercela fare da sola senza raccomandazioni dei suoi genitori, per meritarselo, nel nobile progetto di riuscirci con le sue forze. Desiderava conseguire la certezza che fosse giunta a determinati livelli perché era semplicemente brava, e non per essere la figlia della celebre Lakisha Lange.

Tuttavia però, dal lato economico era super spalleggiata, ecco perché forse non si era mai ritrovata ad un vitale bivio, a dover scegliere il suo benessere a discapito di quello di un altro, come probabilmente stava succedendo al presente. Ma siccome benessere obiettivamente non era, tenuto conto che non si parlava di una professione che consentisse di mangiare, Majka non ci avrebbe ripensato due volte a rinunciare per agevolarla.

O forse l’aveva sminuita, poiché se Hollie era disposta ad ogni costo pur di realizzare il suo sogno, per contro il suo orgoglio non le permetteva di attuarlo in quanto seconda scelta, solo perché lei aveva rifiutato la parte, bensì perché era stata scelta in prima, direttamente.

Afferrò il copione e sospirò, non era un granché convinta, né tanto meno sicura di se stessa, fermo restando che era estremamente gravoso come impegno. Non si sentiva neppure idoneamente capace, intimidita dall’idea di esibirsi in pubblico che non sapeva neanche se le avrebbe germogliato un certo panico, il cosiddetto panico da palcoscenico.

Infatti, un conto era recitare dinanzi a dieci persone che eventualmente avrebbero potuto accettare la sua inettitudine, essendo lì appositamente per valutare, ed un conto era recitare di fronte ad una platea, sentirsi tutti quegli occhi puntati contro, giudicanti e scrutatori. Insomma, un contesto abbastanza invasivo per una come lei che di fatto era una persona riservata, anche fortemente timida in taluni casi.

Eppure non era detto, giacché dare l’ok a Hollie di fondo non la vincolava. C’era ancora tutta una notte per pensarci, e l’indomani, al momento del suo risveglio, in base a come si sarebbe sentita avrebbe deciso.

«Benvenuti, signori, io sono Tilbury Yurman, il supervisore dello spettacolo.»

Majka scostò con discrezione il suo sguardo verso un angolo della sala, dov’era seduto Duncan Blair, in perpetuo silenzio e l’espressione indecifrabile, perfettamente accomodato sulla spalliera di una sedia, con le gambe accavallate e il dorso di una mano che gli sorreggeva il mento. Era sempre tutto vestito di nero, tant’è che con l’ombra dell’angolo pareva un disegno di sfondo, anzi, un maestoso dipinto, sebbene piuttosto sinistro.


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«Ma quello non era il tipo che non si faceva mai vedere?» bisbigliò, accostandosi all’orecchio di Hollie affinché i presenti non potessero ascoltarla.

«Già.» Hollie ballonzolò il capo in movimento assenziente. «Difatti trovo stranissimo che sia qui, anch’io me lo stavo domandando.»

«Se avete una qualche domanda da soddisfare, io sono qui» reclamò Yurman, avendole intraviste confabulare, e le due donne s’irrigidirono, scattando subito sugli attenti.

«Ebbene, avete qualche cosa da domandare?» Le fissò con lampante disappunto, la voce risuonata alquanto autocratica, punitiva.

Majka ed Hollie scossero all’unisono la testa per dissentire, mute, un pochino perturbate da quel fendente tono autoritario.

«Bene, allora questo è il programma» indicò l’uomo sventolando un documento che aveva in mano. «Ognuno di voi ne riceverà una copia.» E indirizzò un cenno ad un addetto della sala prove che incominciò a distribuire i fogli.

«Noi lavoriamo sei giorni settimanali su sette, dal lunedì al sabato, nove ore al giorno, quattro al mattino, ovvero dalle otto alle dodici, e cinque il pomeriggio, dalle due alle sette» espose Yurman, dopo che gli artisti furono forniti del programma. «E per le ultime tre settimane, saremo qui anche la domenica, per le prove generali.»

Majka sbuffò scoraggiata e a bassa voce proferì: «Come farò con il lavoro, è praticamente impossibile…»

«Non puoi organizzare i tuoi appuntamenti dalle dodici alle due, e la sera dopo le sette?» le suggerì Hollie, modulando il timbro di voce per non farsi udire dal supervisore.

«Per cortesia, gradirei attenzione, avete a disposizione la pausa per poter chiacchierare» le richiamò l’uomo, nell’averle sentite un’altra volta confabulare, e le due donne cesellarono un’espressione diffusamente mortificata, reclinando entrambe il volto per scusarsi.

«Dunque, per i primi dieci giorni ci occuperemo esclusivamente delle coreografie, per concedervi il tempo di memorizzare i testi delle canzoni e delle parti, a seconda dell’assegnazione dei personaggi, e in seguito passeremo ad una variazione del programma iniziale. La mattina si svolgeranno le prove di recitazione e canto, mentre nel pomeriggio si procederà con l’integrazione dello spettacolo completo, l’interezza per ogni scena.»

“Dieci giorni…” rimuginò Majka, sempre più scoraggiata, perché se il tempo che restava doveva impegnarlo per lavorare, questo significava che avrebbe dovuto studiare la notte. E se come aveva precisato Hollie questi fissati erano così rigidi sulla puntualità, tanto da doversi persino presentare alle prove in anticipo, il tempo per organizzarsi lei al meglio sarebbe stato ridotto. Quindi, per l’ennesima volta, fu tentata di mandare tutto all’aria e scappar via.

«Miss Winter?»

Lei s’irrigidì, prevedendo un’altra lavata di capo, come se quel tizio le avesse letto nel pensiero. «Sì?»

«Faccia un passo in avanti.»

Majka obbedì, compì un trepido passo per distanziarsi dalla fila.

«Bene, cominciamo con lei.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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