L’ORSO E L’ORCA di Lidia Marsili

Come Manitù, Menea era sola in questa sua affannosa ricerca ed era oggetto di derisione e di allontanamento da parte dei suoi simili, che la consideravano una “traditrice”. Ma lei non se ne curava, intuiva che se si fosse adeguata avrebbe invece tradito se stessa.

Nuota, Menea, vai avanti, Menea… le suggeriva una voce dal profondo della sua anima. E lei continuava a nuotare. Fino a che, un giorno, all’improvviso la linea evanescente dell’orizzonte non s’interruppe.

Menea intravide in lontananza, seminascosta da nuvole basse, una linea scura il cui colore le ricordava quello delle carcasse delle navi che dimoravano nelle profondità dell’oceano. La raggiunse e la sfiorò con il suo lucente corpo. La linea era solida e resistente. Una gioia profonda la investì, sentì di essere giunta alla fine del suo viaggio: aveva finalmente raggiunto l’orizzonte.

Lei non lo sapeva ancora, ma quella linea era il bordo di una scogliera su cui si ergeva una immensa e splendida foresta, ricca di alberi che affondavano le loro robuste radici in uno spesso strato di terra.

Di colpo, lo sciabordio dell’acqua fu interrotto da un suono sconosciuto. Aguzzò la vista e scorse sul bordo della scogliera, protesa verso la riva, una creatura dal corpo possente e peloso, del medesimo colore dei tronchi degli alberi immobili. Menea non si scompose, riconobbe quella creatura perché l’aveva spesso incontrata nei suoi sogni.

Menea e Manitù si fissarono a lungo, avevano da tempo atteso quel momento. Entrambi sapevano che si sarebbero incontrati, ma adesso avrebbero voluto avvicinarsi.

Come se tra essi ci fosse stato un tacito accordo, Manitù tentò l’avvicinamento per primo e, superata la paura del vuoto, si tuffò dall’alto della scogliera. Un prominente arbusto cercò di trattenerlo coi suoi rami frondosi, eppure Manitù riuscì a districarsi e a vincere la resistenza dell’albero.

L’acqua lo accolse spumeggiando. All’inizio il suo abbraccio fu confortevole ma poi Manitù incominciò ad annaspare, l’acqua gli entrò nei polmoni bloccandogli il respiro.

Manitù riemerse a fatica ed allungò una zampa nel proposito di sfiorare Menea. Menea intuì che Manitù non avrebbe potuto galleggiare per molto ma, tristemente, si rese conto di non riuscire a trattenerlo perché non aveva zampe. Allora con il muso lo spinse contro una roccia che affiorava dall’acqua, a cui Manitù si aggrappò.

Menea si approssimò alla roccia e, con un disperato colpo di coda, tentò di issarsi su di essa, tuttavia il suo lucido e voluminoso corpo vi urtò contro e l’acqua si colorò di rosso. Incurante della ferita apertasi su un fianco, Menea riuscì a salire sulla roccia finché una crisi di apnea non la colse. Senza l’acqua era lei a non essere in grado di respirare, così Manitù l’afferrò con le sue zampe salde e pelose e l’aiutò a ridiscendere.


Advertisment


Manitù era sulla roccia. Menea era nell’acqua. Così vicini e così lontani… Dolorosamente si guardarono. Si erano cercati, si erano trovati ma non potevano avvicinarsi.

Manitù agognava la fluidità dell’acqua ma non poteva fare a meno di aria e di radici. Menea agognava la saldezza delle radici ma non poteva fare a meno dell’acqua.

Compresero che, forse, il loro peregrinare era stato inutile. Ma, malgrado tutto non si arresero, non avrebbero potuto rinunciare ai loro desideri senza sperimentare un ultimo tentativo. Si guardarono di nuovo, i loro sguardi si accesero di bagliori comuni: nei loro occhi l’intesa era profonda e perfetta.

Menea iniziò a battere violentemente l’acqua con le sue pinne fino al punto da farla sollevare in mille spruzzi. Manitù dimenò le zampe fino a sfiorare le mille e mille gocce che si depositavano sul suo morbido pelo. Un piccolo ma perfetto arcobaleno si formò a mo’ di ponte tra Menea e Manitù. Ad esso, entrambi, affidarono la loro anima e i loro desideri e, all’unisono, quasi rispondendo ad un imperativo che superava le loro peculiarità e i loro limiti, si gettarono Manitù nell’acqua e Menea sullo scoglio.

Bastò un guizzo: i loro corpi s’incrociarono nel reciproco salto, si sfiorarono per poi affidarsi alla pienezza di un frammento di assoluto. Non potendosi avvicinare in vita, magari avrebbero potuto avvicinarsi in un altro mondo, in un mondo di mezzo dove la fluidità dell’acqua avrebbe potuto coesistere con la saldezza delle radici. L’arcobaleno, avrebbe seguitato ad essere il veicolo dei loro desideri e dei loro sogni.

È per questo che, all’imbrunire, i viandanti che percorrono quel tratto di scogliera, di lontano continuano a scorgere un piccolo arcobaleno, che unisce il punto in cui la foresta si specchia nel mare…


© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

Tag:, , , , , ,



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *