IL DONO DELLE QUATTRO FATE di Anna Maria Scifo

Un castello abbandonato possedeva un parco enorme. In fondo ad esso, si snodava la strada che conduceva al paese, una strada molto trafficata per via dei contadini che la percorrevano per portare i propri prodotti al mercato. Alcuni provavano un po’ di timore perché una leggenda narrava che, all’epoca in cui era morto l’ultimo proprietario del castello, costui aveva lasciato come eredità alla popolazione quattro Fate, alcune buone ed altre un po’ birbanti, assai volubili nel comportamento e nella loro benevolenza nei confronti degli abitanti del paese.

Le Fate avevano il compito di osservare i vari modi di agire delle persone e, in base a codesti, si regolavano sulle loro azioni da intraprendere.

C’era la Fata delle Stagioni, che era sempre rivestita di fiori e portava l’auspicio di un buon raccolto. Difatti, allorché essa si presentava a qualche contadino, egli era invero felice giacché significava che era stato premiato per la sua bontà, e tornava a casa di corsa dai familiari per raccontare entusiasta di aver visto la Fata delle Stagioni. Per loro, sarebbe giunta un’annata di ottimi raccolti.

La Fata delle Stagioni vestiva elegantemente ed era di buone maniere, avvertiva coloro che stavano deviando dalle regole della Natura e che, se avessero perseverato nell’errore, i loro desideri non sarebbero stati esauditi. Il paesano o il contadino che ricevevano il monito della Fata dovevano riflettere con molta cura sul da farsi, se volevano ottenere ciò che più desideravano.

C’era poi la Fata del Bosco. Essa aveva il compito di mantenere inalterato il ciclo naturale della vita della flora e della fauna del luogo, proteggendo le piante e gli animali del bosco. I frutti del bosco, nella migliore delle ipotesi, erano immangiabili oppure procuravano un forte mal di pancia, pertanto la Fata appariva ai contravventori con un’espressione di severità, così che fosse ben chiaro che le regole del bosco andavano rispettate.

Se invece si passava lì dinanzi e sulla torre si scorgeva una Fata, si trattava della Fata Pensosa, cioè quella dei buoni pensieri. Il giorno successivo i desideri si avveravano, ma soltanto se non si aveva pensato unicamente a se stessi, dunque voleva indicare che si era stati utili a qualcuno in difficoltà e si era stati ricompensati.

L’ultima, la Fata della Luna, la si incontrava quando sorgeva la Luna piena; in quel caso accadeva che si facessero bei sogni, ma sempre e solo se si rispettavano certe regole morali. Sennò, erano brutti sogni, e il giorno dopo le cose andavano tutte storte.

I giorni scorrevano felici e la tranquillità regnava sul castello e nei dintorni. Un giorno di Primavera, giunse nel paesino uno strano signore, il quale si presentò al Primo Cittadino richiedendogli il permesso di visitare il castello.

Il sindaco, che custodiva le chiavi, lo accompagnò volentieri. I due si avviarono verso il maniero e, mentre attraversavano il viale alberato, un leggero venticello portò petali di ciliegio che caddero colorando la strada. Il sindaco arguì che quella fosse l’opera della Fata delle Stagioni e sorrise, contento di essere stato cortese con uno sconosciuto.

Giunti al castello, sulle guglie di una torre i due intravidero la Fata Pensosa e, attratto da quella singolare visione, lo strano signore domandò chi fosse quell’eterea fanciulla e cosa facesse lì sopra. Il sindaco gli riferì che era una Fata, ed era lì per rammentare ad ognuno che aiutare il prossimo rappresentava una buona azione, e che le buone azioni erano da sempre ricompensate.

L’uomo a quel punto, estremamente meravigliato e al tempo stesso incuriosito, chiese se fosse proprio vero che il castello era fatato. Il sindaco, non senza tentennare un po’, rispose di sì e chiese a sua volta a quello strano signore come facesse a saperlo. Costui affermò che gli era sopraggiunta una voce al riguardo, ed era venuto appositamente per verificare se quel che aveva udito fosse reale; voleva saperlo per poter scrivere un libro destinato ai più piccini il cui ricavato avrebbe aiutato dei bambini poveri.


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Il sindaco era incredulo. Come poteva qualcuno fare una cosa talmente bella senza volerci ricavare nulla? Ma volle crederci e, tra un pensiero e l’altro, entrarono nel castello. Era stupendo, come se qualcuno ci abitasse: tutto in ordine, pulito e profumato di fiori.

Quel signore, sempre più stupito, domandò come fosse possibile ciò che stava vedendo, dato che il castello era disabitato da anni, ma il sindaco gli chiarì che erano le signore del paese a tenerlo pulito, come da espresso desiderio dell’ultimo Principe che vi aveva abitato.

Dopo la visita, si recarono in giardino ed anche qui ciascuna cosa era in ordine, come se ci fosse un giardiniere ad occuparsene quotidianamente. E, alla rinnovata sorpresa del visitatore, il sindaco gli spiegò che naturalmente qualcuno si occupava anche dei giardini.

L’uomo ringraziò il sindaco per avergli offerto la possibilità unica di visitare il castello e in seguito gli comunicò che, non appena avesse pubblicato il libro, ne avrebbe spedita una copia per la gente del paese.

Quindi si salutarono e l’uomo, allontanandosi dall’abitato, pensò tra sé che sarebbe ben presto tornato a beneficiare della particolare tranquillità del posto.

Un mese trascorse e finalmente il libro arrivò. Il sindaco lo lesse quasi tutto d’un fiato e gli piacque così tanto che il giorno seguente fece sapere ad ogni cittadino e alle Fate, che nella biblioteca del castello era a disposizione un libro speciale per tutti coloro che avessero voluto leggerlo.

La domenica, anche il parroco durante la messa parlò del magnifico libro ed il sindaco, presa la parola, fece sapere ai suoi concittadini che il ricavato delle vendite del libro sarebbe stato devoluto ai bambini bisognosi di tutto il mondo. Gli abitanti dell’intero paese si misero in fila per leggere quel libro bello e famoso, ma le persone erano tante ed il libro uno solo…

Le Fate del Castello subito intuirono il problema e premiarono la buona volontà della popolazione. Infatti, mentre la gente faceva la fila all’ingresso del castello, una voce dolcissima e soave, cullata dal vento, portò in ogni strada e in ogni casa la storia del libro del Castello delle Fate, una storia di autentica bontà e di altruismo.

Nell’ascoltare quelle parole talmente belle, il cuore di chiunque si riempì di felicità. Le Fate del Castello, ancora una volta, avevano diffuso buoni consigli il cui frutto era stata una buona azione: la generosità e l’altruismo verso il prossimo che più ha bisogno.

Sicché, quel modesto paesino di campagna rammentò al mondo l’esistenza dei veri valori della vita, e soprattutto che la vera felicità nasce, quando si è contenti ed orgogliosi di quanto si possiede.


© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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