Il Principe era diventato Re. Eppur la sua amata, purtroppo, era disparsa in circostanze misteriose. Ma non si era arreso. Ancorché si fosse in un certo qual modo assopito all’idea, tuttora l’attendeva, confidava che presto o tardi sarebbe tornata da lui.
Aveva fede, tanta di quella fede da farlo star male, dacché il dubbio divellente di questa sua speranza infondata vi andava ferocemente, spietatamente in conflitto. Riducendolo allo stremo.
L’aveva cercata, eccome se l’aveva cercata… ma era come s’ella si fosse dissolta dalla faccia della Terra, dall’esistenza, come se non fosse mai esistita.
Molto spesso, infatti, il Re si domandava se il suo non foss’altro stato che un miraggio, un lungo sogno ed intenso che, parso talmente reale, si era sostituito alla stessa realtà. Il loro magico incontro, le loro magiche lettere d’amore, il loro Amore anche magico, tutto era stato magico, dal principio all’inesorabile fine. Quando che, d’un tratto, ella scomparve, senza più far ritorno.
Coincidenza strana, a dir meno bizzarra era stato tuttavia il concomitante avvento di un’altra donna. Ma non era propriamente una donna. Era una Strega.
Accadde così, in un momento inatteso in un posto altrettanto inatteso. L’allora Principe si era recato per l’ennesima volta a far doni alla sua Principessa. L’aveva presa per mano e condotta nel grande giardino fiorito del palazzo reale, le aveva offerto una nivea rosa bianca e le aveva rinnovato il suo giuramento d’Amore, d’un tal dolce e poetico da tremarla in un sussulto lungo come il suo bacio che subitaneo l’aveva invasa di saporiti colori e profumati.
Lui le aveva promesso il suo Amore, lei gli aveva dato il suo Cuore, ovattandolo in uno scrigno di preziosi tesori che scintillavano guizzanti insieme ad esso che pulsava cadenzante, d’un Amore sbordante, che pulsava magnificamente, ed unicamente per lui.
E in siffatto giorno, nel mentre che il Principe s’inginocchiava al suo cospetto per proclamarle che anche il suo cuore sarebbe stato per sempre suo, un alone ombroso di finissima polvere accecante lo privò momentaneamente della vista, dopo averla percepita tremare in una guisa ch’egli non aveva mai veduto. Un maleficio? Un incantesimo che l’aveva trasbordata in una dimensione differente, superiore? Fatto fu, che della Principessa non si ebbe più novella, né sentore, finanche il suo profumo era svanito nell’etere, quel profumo che, costantemente, il Principe aveva ognora portato con sé, sentito su di sé, persino con lei distante, distante a mille e mille passi da lui.
Era rimasta solo quella rosa. Caduta in un soffio al suolo aprendosi nella sua corona per disperdere d’attorno i suoi candidi petali, un tonfo sordo che però riecheggiò virulento nell’animo del Principe.
Divenuto Re, doveva ora pensare al suo Regno. Ma non da solo. Ma non lo voleva. Voleva lei, voleva quel che era stata lei, quando l’aveva conosciuta, allorquando l’aveva amata. Ma lei non c’era più. C’era la Strega.
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La incontrò ad una manciata di passi, seguendo con gli occhi quei petali che, spazzati dal vento, danzavano disegnando un serpentino sentiero che tracciava delle spire che pian piano lo stavan pressappoco soffocando, alla sola veduta. Ma non si mosse. Restò lì. Si lasciò “stregare”.
Ci si chiederebbe per qual balengo motivo il Principe la lasciò avvicinare a sé. Non lo sapeva. Era, però, come se reperisse in ella un che della sua perduta amata, un odore, un sentore impalpabile ma insinuante, rovinosamente invitante. Un altro maleficio. Ecco cosa aveva pensato il Principe.
E se la Strega aveva inghiottito la sua Principessa divorandone l’essenza? Era lì dentro? E, nel dubbio, non ebbe il coraggio di allontanarla, di bandirla come il vetusto Re si raccomandò, prima di trapassare fino al Mondo delle Essenze, come le damigelle più fidate, e i servitori, e i consiglieri di Corte gli avevan saggiamente consigliato. Al contrario, la accolse a palazzo, donandole nientedimeno che un’ala del castello dov’ella si crogiolava nei suoi sortilegi e nelle sue arcane attività.
Non l’aveva mai controllata, il Principe. Mai aveva osato. E mai era andato da lei. Timore, crudivoro timore che fosse un’efferata presenza, diabolica, di prenderne decisiva coscienza smarrendo così anche l’ultima speranza di ritrovare il suo Amore. L’ultima cosa che sarebbe perita, prima di lui.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto