UN RAGGIO DI SOLE, Cap. 3

Russell seguitava a ridere, era deliziato da quell’autentico brio e da una tale adorabile naturalezza, dalla vivacità esibita da quegli aurei occhi in una forma così genuina, essenziale, semplicemente. La bellezza di questa donna andava oltre la sua esteriorità, c’era qualcosa in lei di particolare, d’inconsueto, di davvero incantevole, un qualcosa che lo tenne fermo lì, senza riuscire a cessare di guardarla, di ammirare le sue iridi rilucenti di un colore talmente vivo, la loro luce glorificata dai cangianti riflessi delle pietre preziose del collier che Warren le aveva fatto indossare.

E da quel momento la serata prese una piega diametralmente diversa. Russell e Dea si ritrovarono tuffati in un mondo a parte, ricolmo di serenità ed allegrezza, e trascorsero l’intero tempo rimanente a scambiarsi facezie e sguardi intriganti, inaspettatamente complici, in un modo così spontaneo e vero, che ebbero la vivida sensazione di conoscersi da tempo.

Ciononostante Dea aveva serbato le doverose distanze, rivolgendosi a lui continuamente in terza persona. Questa, aveva rimuginato, era senz’altro la via migliore per non farsi coinvolgere più di tanto da quell’uomo così ineffabilmente seducente, anche se suo malgrado già si sentiva cotta a puntino, imbrigliata da quell’essere efferatamente ammaliante. Lo avrebbe definito maliardo.

Ma conservò comunque un certo rigore, un saldo distacco, seppur abbastanza faticosamente, essendo Russell di un trascinante spropositato. Sentiva in lui una forte carica emotiva ed una singolare immediatezza, tale da renderlo eccelsamente dissimile da tutte le persone che gremivano il teatro.

Così cominciò a rilassarsi, potendo infine essere se stessa, senza troppe limitazioni, dacché lui era in grado di trasmetterle un notevole senso di pace, donandole al contempo un’inusitata energia che difficilmente lei riuscì a contenere.

Ed era inverosimile come fosse capace di disporla a proprio agio, specie in quella circostanza per lei nuova e malagevole, realmente difficoltosa da affrontare in forma adeguata. Per giunta, non aveva percepito in lui un minimo di altezzosità che qualunque altro artista del suo calibro avrebbe ostentato, in primo luogo per essere ciò che era, e secondariamente per aver vinto un così importante riconoscimento come quello di miglior attore protagonista, in questa edizione degli Academy Awards.

La premiazione volò così, in un batter di ciglia, e senza neanche accorgersene Dea si ritrovò nella tensostruttura del Pacific Design Center per partecipare, insieme a Russell, al party a cui erano intervenuti i vincitori dell’annuale notte degli Oscar.

Sulle prime si sentì nuovamente persa giacché, in quello specifico ambito, sarebbe stato molto più difficile conservare un atteggiamento formale che non tradisse la sua condizione di hostess improvvisata, specialmente agire in maniera da non farlo sospettare ai presenti.

Russell l’aiutò di certo a stemperare questa forte ansietà, ma lei si era così prepotentemente conficcata sulla sua diversità che non fu affatto facile. Perciò, in un paio di occasioni congeniali ne approfittò per sgattaiolare via, scostandosi ai bordi della gigantesca sala per tentare di attirare l’attenzione il meno possibile, affinché nessuno le potesse domandare chi fosse e in quale ruolo si fosse presentata a quel dannato party.

«Stai cercando di fuggire?»


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Dea sussultò, e issando lo sguardo s’imbatté con quello di Russell, che la stava osservando con un’aria piuttosto divertita.

Lei fu di nuovo confortata dal suo modo di fare, e muovendo gli occhi verso l’enorme buffet al lato opposto della sala, un po’ dileggiante affermò: «In verità avrei espresso il desiderio di diventare invisibile, ma forse la mia fatina buona in questo contesto ha altro da fare, considerando tutte le leccornie che imbandiscono il buffet.»

«Vieni» la invogliò lui, porgendole un braccio. «Andiamo a cercarla, così magari potrai mangiare qualcosa, in attesa che si faccia viva.»

Lei rise serena e lo seguì, sublimata dall’amabilità dei suoi modi e dal suo timbro di voce sempre così distensivo, ma superbamente stimolante al tempo stesso.

Attraversarono la grande sala, e con sua ampissima sorpresa Dea non si imbarazzò di un filo, neanche mentre veniva squadrata da un po’ di quella gente che la osservava incuriosita, nel non riuscire a capire chi fosse quella donna misteriosa che disinvoltamente camminava a fianco di Russell Bowen, la rivelazione di quell’attuale cerimonia degli Oscar.

«Chissà cos’avranno tanto da guardare…» si lamentò lei, a voce sommessa, non riuscendo a trattenersi, in quanto essere puntata con quell’insistenza le stava iniziando a generare un certo disagio.

Russell la udì, diresse lo sguardo verso di lei e con la sua usuale espressione affabile, talmente vicino ad un orecchio di Dea da farla violentemente irrigidire le proferì: «Forse Warren ha esagerato, la tua scollatura è un po’ troppo generosa. Che sia chiaro, non che ciò mi sia sgradito, ma senz’altro attira diversi occhi indiscreti.»

Lei sorrise, per nulla infastidita dal suo apprezzamento, non stavolta, e tentando di riprendersi dalla scossa che il respiro caldo di lui le aveva elargito brutale lungo tutta la schiena, «Questa è buona, Mister Hollywood, farò finta di crederci» lo motteggiò, spontanea e sinceramente accomodante.

«Non è difficile, voltati alla tua destra.»

Lei istintivamente obbedì e scorse sulla parete alcuni grandi specchi, dove intravide la loro immagine riflessa che le arginò istantaneamente il fiato in gola.

Non aveva notato che il suo abito risaltasse perfettamente la sua figura, donandole un’aria raffinata e sicura, e al fianco di Russell sembrava addirittura una regina, eccellentemente accompagnata dal suo re, che con il suo portamento arricchiva di piena eleganza la sua andatura.

E fu percossa da un trascinante brivido sulla pelle, meditando che semmai avesse incontrato una coppia del genere, l’avrebbe senza dubbio ritenuta perfetta ed avrebbe certamente invidiato il loro feeling, che traspariva anche soltanto dal loro stile di camminare, fianco a fianco l’uno dell’altra.

Ma dimenò il capo, non era il caso d’insistere con quei sogni ad occhi aperti. Ben presto quella serata sarebbe terminata e, da buona Cinderella, l’indomani sarebbe tornata al suo focolare, ad adempiere i suoi doveri quotidiani, nonostante che quella condizione professionale fosse una sua mera autoimposizione, indotta, ma comunque vissuta per sua scelta.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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