LA LUCE DEL RISVEGLIO, Cap. 1

«Ma piantala! Perché mi prendi sempre in giro?» si lamentò Beth, rassegnata, stavolta risentita sul serio. Colin non la smetteva mai di stuzzicarla e lei non riusciva proprio a fare a meno, d’insorgere alle sue istigazioni.

«Lo faccio perché t’infiammi con incredibile facilità, piccola sciocca, e comunque non vorrai togliermi il gusto di farmi quattro risate in occasione di un evento così eccezionale come il tuo matrimonio? In fin dei conti non è una cosa da tutti i giorni, all’opposto, ero convinto che nessuno avrebbe mai racimolato il coraggio di chiederti in moglie.» Colin parlava come se Kevin non fosse presente, e la cosa lo infastidì per bene.

«Sicuro, con te nei paraggi sarebbe stato impossibile!» Beth raccolse la sfida, raddrizzando le spalle in posa guerrigliera.

«Andiamo, ragazzi, smettetela di beccarvi, non è carino parlare così di fronte al nostro ospite» li rimproverò Caleb, e rivolgendosi a Kevin, «Venga, beviamo insieme un bicchiere di scotch, così potrà rilassarsi dalle fatiche del viaggio» lo invitò, frattanto che s’incamminava verso il gargantuesco soggiorno.

Kevin lo seguì rincuorato, almeno lì c’era qualcuno che gli faceva il filo, pensò, dacché la sua fidanzata, assiduamente intenta a vezzeggiare il fratello, non gli stava prestando la benché minima attenzione. Anzi, da quando erano entrati in quella casa non lo aveva degnato di un unico sguardo.

«La ringrazio, è l’ideale in questo momento» gloglottò, un tantino abbattuto.

Subito Colin gli saettò un’occhiata pungente, davvero modicamente tollerante, nell’aver individuato la percettibile acrimonia traspirata dalla cantilena dell’uomo. «Cosa c’è, non le piace qui?»

«Oh, ma sì… sì…» tartagliò, rapidissimo, nel timore che la situazione potesse malsanamente degenerare, incrinandosi di conseguenza il loro primo approccio, dato che l’inizio, per quanto incomprensibile, non era già stato dei migliori.

Eppure non aveva fatto niente di eccentrico o d’inappropriato, ma presumibilmente il termine protettivo era abbastanza limitativo nella raffigurazione di costui, pertanto valutò di dover modificare atteggiamento, in specie perché vedeva Beth praticamente pendere dalle sue labbra. Un eventuale giudizio negativo da parte di quel Colin, sarebbe stato fin troppo ponderato da lei.

«Sono stanco, ecco tutto, e penso che uno scotch sia giusto quello che ci vuole» gli chiarì quindi, cercando di mostrarsi il più deferente possibile.


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Facendo loro strada, nel frattempo, Caleb approdò all’enorme salone dov’era allestito un fornitissimo angolo bar, e si apprestò a preparare i drink.

«Si accomodi, Kevin» lo esortò, in tono molto cortese, e l’uomo affondò in una elegante poltrona di velluto rosso bordeaux, tenendosi in disturbato silenzio, nel riscontrare che i due fratelli perseveravano a dialogare concitamene tra loro, come se fossero soli.

«Ora ascoltami un attimo, Elizabeth.» Kevin sobbalzò alle parole di Caleb, che in quell’istante gli stava porgendo il drink e che in seguito si sedeva su una poltrona affianco a lui. «Domani sera organizzeremo un ricevimento per presentare il tuo fidanzato ai parenti e ai più intimi della nostra famiglia. Vuoi che inviti qualcuno dei tuoi amici?»

Beth gli tracciò un segno di diniego per rispondere e si orientò di nuovo in corrispondenza del fratello. «Tu hai qualcuno che ti faccia da accompagnatrice?» lo provocò, con lo sguardo malizioso, e rilevando che lui non replicava, gli diede un lepido colpetto con il gomito. «Come mai non rispondi? Hai anche tu qualche problemino con le storie serie, giusto?» lo sbertucciò, lanciando un’occhiatina divertita al padre.

«Si chiama Alicia e tu non dovresti essere così impertinente, bambina.»

«Ah, stavolta ti ho preso!» debordò lei, ridendo di pieno cuore.

«Vieni qui, brutta…» Colin l’agguantò da dietro le spalle, gliele cinse con le braccia facendola piegare in avanti e avviò a darle pizzichi alla vita, fintanto che ambedue cominciarono a ridere come due ludici ragazzini.

«Lasciami!» trillò Beth, con le lacrime agli occhi, e Colin, intanto che proseguiva a farle vivace solletico ai fianchi, «Ti insegnerò io le buone maniere, piccola maleducata e ribelle» la rimbrottò, pur continuando a giocherellare, sia nell’inflessione della voce che nella sua espressione sinceramente allietata.

«Voi due, basta, per gentilezza.» Caleb tentò bonariamente di farli interrompere, nel vederli accingersi ai loro consueti giochi da bambini che non avevano mai cessato di perpetrare sin da quando la sua piccola Elizabeth aveva iniziato a camminare, e si volse un po’ dolente verso Kevin. «Li perdoni, ma sono dell’idea che ci dovrà fare l’abitudine. Dubito che cesseranno mai di farsi burle del genere, nemmeno quando saranno vecchi e canuti.»

«Non è affatto un disturbo, tra fratelli è naturale, l’importante è che si vogliano bene.»

«Ah, questo è indubbio!» si vivacizzò Caleb, briosamente dilettato dalla scena che si stava dispiegando dinanzi ai suoi occhi. Iniziava anche lui a divertirsi, nel distinguere la sua Elizabeth che infiocchettava facce buffe ed esilarate, mentre Colin aveva lietamente disteso i tratti cupi del volto, il suo sguardo che negli ultimi tempi era sempre stato concitato e bellicoso, talvolta anche piuttosto inquietante, tendenzialmente atipico per un uomo come suo figlio che di fondo era straordinario, di vero gran cuore.

Ma forse la sua vita attuale gli impediva di beneficiare della serenità necessaria per vivere al meglio la sua esistenza. Era probabile che si sentisse solo, dal periodo in cui la loro dolce Elizabeth si era trasferita a Houston, e magari ancora, tuttora, non riusciva ad abituarsi all’idea.

«Sarà, però io non sono solito ad assistere a situazioni analoghe» sboccò Kevin, strappandolo dalle sue concise ma incisive riflessioni. «Mia sorella è molto più giovane di me ed io non ho avuto sufficienti opportunità per instaurare un rapporto profondo con lei, dato che mia madre l’ha mandata in Europa, in una scuola esclusiva per imparare il bon ton.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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