KALERIYA, Cap. 3

«Mi stai dicendo che te la sei ripassata nell’azienda, poi a casa tua, ieri sera, e pure stamattina?»

Kyle, o meglio, Trey annuì, stendendosi sullo schienale della poltroncina collocata contro la parete del corridoio.

L’altro piegò la bocca in un versaccio di stupefazione. «Beh, questa è fame. Da quanto tempo praticavi l’astinenza, cioè… che non rimorchiavi una donna?»

«Ah, non dirmelo, è colpa di questa stramaledetta missione, non ho più una vita privata, nemmeno per spassarmela qualche ora spensieratamente, con la mente libera. Sono anni che gli sto appresso e ci diventerò certamente vecchio, oltretutto senza ricavarci un tubo!»

«Già, dev’essere dura per un tipo come te» lo punzecchiò il suo collega, facendogli l’occhiolino.

«Esatto, quindi stavolta ho unito l’utile al dilettevole, senza alcuna remora, né tanto meno scrupolo» decretò Trey, volitivo, indisposto ad ascoltare qualsivoglia ramanzina, men che meno commenti inquisitori.

«Non penso che il capo sarà del tuo stesso avviso» considerò, scrollando simpaticamente le spalle.

«Me ne sbatto, amico, in qualche verso dovrò pur sfogare gli ormoni, prima che mi annebbino il cervello e di conseguenza minino lo svolgimento regolare del mio lavoro» derogò lui, piuttosto innervosito da quella eventualità, ben presente in verità.

«Ma come sei poetico!» starnazzò l’uomo, ridendo ludico, sguaiatamente.

«Piantala, Stan, un po’ di ginnastica fuori programma non ha mai fatto del male a nessuno, all’opposto, direi che è ottimamente salutare, e comunque con un accorgimento simile posso tenerla sottocchio, anzi, era ed è il mio scopo principale. Tanto oramai la mia esistenza gira intorno a quest’operazione, e i presupposti per un qualsiasi avvicinamento ad un passabile esponente del genere femminile sono sempre gli stessi, eccetto che per una miracolata sera non riesca a sfuggire alle grinfie del capo e ad andare a rimorchiare come una persona normale, scegliendo il soggetto per preferenze personali, e non per esigenze di copione.»


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«Eh! Questa raccontala a Galloway, non a me!» propulsò, molto poco convinto della sua, seppur credibile esposizione, considerato che lo conosceva da anni, e a parte la facilità con cui si lasciava andare in fulminee e momentanee escursioni sotto le sue lenzuola, Trey era un soggetto al quale piacevano le donne, parecchio, tanto da giungere addirittura a cambiarne una a sera, lavoro permettendo. «Secondo me ti piace, e pure troppo, altrimenti non saresti partito così come un treno, senza sapere se concretamente la sua comparsa abbia rilevante attinenza a questa operazione.»

«Chandler.» Una voce maschile li interruppe, da una porta aperta a pochi passi da loro. «Vieni nel mio ufficio.»

Trey salutò il suo collega e si diresse verso il luogo. Quando fu dentro, si sedé e per prenderla con le pinze prologò: «Credo di avere un nuovo contatto.»

«E chi sarebbe?» lo scrutò l’uomo, preso alla sprovvista da summenzionata novità.

«Si chiama Sheila Kincaid, presumo che lavori per qualcuno di sospetto, anche se a sua insaputa.»

«Che cosa significa questo?» reclamò, grattandosi dietro la testa.

«Che non lo sa, non sa chi sia» gli riportò lui, laconicamente.

«E allora non vedo il nesso» s’ingarbugliò, dal momento che evidentemente non sussistevano dati certi a riprova di codesta teoria.

«Infatti non capisco neanch’io, capo, perché la donna in questione non ne ricordava il nome, ed è bizzarro, essendo lei il tecnico informatico intervenuto per sistemare un computer. E siccome il suo ingaggio non è passato al mio vaglio, per una faccenda assai delicata come quella del database dove vengono custoditi i più riservati documenti aziendali, suppongo che a tergo di ciò sussista una ragione particolare, ben consistente. Ho il plausibile sospetto che il disco sia stato deliberatamente fatto saltare per poterla assumere come tecnico e quindi darle l’opportunità di sbirciare nei computer della rete, al fine di verificare se vi fossero custodite informazioni a rischio, se la posizione del nostro interessato fosse tuttora salvaguardata, non discoperta» gli espose, senza ancora precauzionalmente entrare in intimi dettagli.

«L’hai pedinata?» Pur senza saperlo, lo fece l’uomo.

«No, l’ho portata a casa mia» gli rivelò, conciso, tenendo conto che in qualsiasi caso avrebbe dovuto renderglielo noto, e tanto valeva togliersi subito il pensiero.

Galloway lo squadrò taciturno, dovutamente sospettoso, conoscendo bene il soggetto che aveva dinanzi. «Chandler, non dovrei supporlo, per la serietà della situazione, la complessità e la delicatezza della missione che tu avrai ben presente, ma non mi dirai che…»

«Ovvio, era l’unico mezzo che avevo a portata di mano per scoprire qualche elemento su di lei, visto che è scappata dalla società senza lasciare nessun recapito, specificando all’usciere che avrebbe spedito la parcella per posta. È un comportamento che mi ha creato dubbi a sufficienza, intendo, che lo abbia comunicato ad un semplice addetto alla vigilanza e non a me, a nessuno facente parte dell’amministrazione.»

«Posso capire, Chandler, ma non ti sembra di essere uscito un po’ troppo dai ranghi? Lo sai che la nostra è un’istituzione seria, una delle più autorevoli, importanti degli Stati Uniti per quel che concerne la sicurezza nazionale, e se i grandi capi venissero a sapere che l’hai sedotta, diciamo con questo metodo poco ortodosso di lavorare, di portare avanti il tuo incarico, ci potrebbero essere delle grosse seccature. La nostra sezione ne pagherebbe le conseguenze, in quanto il comitato indagherebbe difilato sulla violazione al protocollo, oltre che toglierti la missione, giustamente, che tra l’altro sta seriamente divenendo vitalizia» lo disapprovò, doverosamente. «E in ogni maniera sono del parere che non ti convenga, primariamente per il buon lavoro che hai svolto in questi anni, insomma, per te sarebbe stato tutto tempo sprecato.»

«Lo so, signore, però glielo ripeto, era l’unica procedura che mi è capitata al volo, non ne avevo altre a disposizione in quella sfuggente circostanza, dovevo pensare in fretta. Ma almeno così l’ho distratta, in un certo senso l’ho fatta stancare, di modo che fosse meno vigile quando ho potuto indisturbatamente accedere alla valigetta che aveva con sé, per appurare la sua effettiva identità.»

«Ah! Questo sì che è un procedimento personalizzato di affrontare la tua missione!» parafrasò, parodiante, pur con una venatura infastidita, dacché lui non lo condivideva di una tacca, né per decoro, né per professionalità.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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