Il SOGNO È SEMPRE, Cap. 3

Majka si stava dirigendo un po’ estenuata alla caffetteria del teatro, aveva urgente bisogno di un caffè prima di rientrare. Cercò previdente di affrettare il passo, quando, d’improvviso, scorse uscire da una porta riversante sul corridoio lui, Blair, che non appena la adocchiò le andò incontro.

Lei s’irrigidì, ecco, la festa era finita, perché se costui era un pezzo grosso, o meglio, il comandante della truppa, era facile supporre che l’avrebbe tacciata per la sua scarsa delicatezza quando lo aveva investito. Di certo lui l’aveva fatta richiamare appunto per tale ragione, per vendicarsi della sua inopportuna intraprendenza, del suo pessimo savoir-faire nei confronti di un uomo di quel calibro, o più che altro di come ci si sentiva lui.

Ed effettivamente finora non ci aveva granché ragionato. Solo adesso stava dubitando sull’eventualità, perché se le audizioni ufficiali erano state concluse, era questo un buon artificio per farle imparare l’educazione, tenendo altresì conto che la stavano parecchio trattenendo sulla corda, per giunta le avevano fatto recitare una ridottissima parte del copione dato da memorizzare.

L’uomo si stava facendo avanti con un’espressione indecifrabile, ma sempre con quel suo sorrisetto beffardo stampato sulle labbra, seppur impercettibile, però lei lo vedeva benissimo, infatti istantaneamente la infastidì.

«Miss Winter» la salutò lui ornando un garbato cenno del capo.

«Salve, signor Blair» deglutì lei un pochino imbarazzata perché, in effetti, quello sì che era una testa di serie, esattamente come sosteneva Hollie.

L’uomo si tenne in silenzio, in evidente attesa, fissandola sempre imperscrutabile. Probabilmente stava attendendo le sue scuse, meditò lei, e siccome quello sguardo la stava ponendo un tantino fuori fase, preferì concedergliela questa soddisfazione, pur senza conoscerne la motivazione. In definitiva aveva deciso di non prendere più parte allo spettacolo e dunque, alla fin fine, e per fortuna, non lo avrebbe più incontrato.

«Signor Blair, io mi rendo conto che… insomma, ieri l’altro sono stata un po’ sconveniente, o piuttosto, maleducata, dopotutto sono io che l’ho investita e…»

«E questo da dove proviene, miss Winter, dalla questione che lei è sinceramente desolata, oppure perché ha finalmente totale cognizione di chi sia colui che manda avanti la stamberga?»

“Ma che screanzato, vile e pure cafone…!” s’indignò lei tacita, per quella terminologia cruda e spicciola, perciò di smodato impulso lo dardeggiò con un’occhiataccia, lindamente screditante.


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«Chiedo scusa, come non detto» sibilò pinguemente invelenita, e fece per oltrepassarlo impettita, che improvvisamente l’uomo la bloccò per un braccio.

Majka lo guardò basita, di colpo ciondolante, sia per il suo gesto ampiamente dispotico, che per il tumultuoso calore che la investì a quel disarcionante contatto, egemonicamente sbarrante. Ebbene, questa volta l’aveva investita lui.

E si arenò, sbarrò le ciglia, lo fissò sperduta.

«Venga con me.» E senz’attendere alcuna risposta di consenso, cosa che le conferì un amplificato fastidio, la tirò con sé verso la fine del corridoio.

«Ma… dove…?» s’impappinò lei senza riuscire ad opporsi, tuttora scombinata da quel virulento calore che pareva averle inciso a fuoco la pelle.

«Nel mio ufficio, devo parlarle» stringò, addirittura più imperativo di quel gesto.

«E non potrebbe farlo qui?» Era sempre più smarrita, non aveva a disposizione un becco di strategia per cavarsi da questa scompaginante situazione, poiché oltre ad essersi presentata talmente imprevista e di conseguenza lei del tutto impreparata, quell’uomo la poneva in netta soggezione. La turbava, non soltanto per l’autorità ch’egli emanava da ogni più infinitesimo sito del suo magnetico tessuto epidermico, ma anche per la strepitosa fattura dei suoi lineamenti.

Il suo volto, seppur di un mascolino perturbante, oggettivamente non poteva reputarsi bellissimo, non nell’esatto significato del termine, eppure nell’interezza era di un fascino devastante. Rispecchiava la teoria della perfezione nella composizione dei dettagli, la bellezza che risiedeva nel particolare, insomma, per farla concisa, tutti quei magnifici particolari, associati insieme, lo rendevano praticamente perfetto.

Ma si rese conto d’essersi fatta un po’ troppo anatomizzante, per di più mostrandosi inesperta e nientemeno spaventata al modo di una liceale alle prime armi, mentre si lasciava pressappoco trascinare lungo il corridoio.

Così tentò di salvarsi da lui e da se stessa, proseguendo con ostentata scioltezza: «Non vedo l’utilità di recarsi nel suo ufficio per conversare, signor Blair, e comunque devo rendermi disponibile, in attesa di essere richiamata dal suo sovrintendente.» In pratica si palesò al netto contrario, velenosa e indisponente, a tratti di un’affusolata sfumatura offensiva, specie nel tono e nella sua gestualità.

Duncan inarcò un sopracciglio e la guardò sarcastico, fermandosi all’istante. Fu abbastanza seccato dalla sua schermata illazione, come se lui intendesse approfittare di lei e non certo in forma decorosa, e Majka si ammutolì, rosicchiandosi intimidita le labbra.

Lui le lasciò andare il braccio, raffreddando appieno e sinistramente, la sua espressione contrariata. «Mi segua.»

«Chiuda la porta» la incaricò, una volta arrivati a destinazione.

Lei mutamente obbedì, a meditante rilento, lambiccandosi il cervello per scovare un rapido pretesto, semmai lui, adesso che erano soli, l’avesse rimproverata di reputarlo capace di un meschino, ed anche coercitivo tentativo di seduzione nei suoi riguardi.

«Bene» commentò lui, afferrando un fascicolo dalla scrivania senza rivolgerle il più irrilevante sguardo, e l’aprì per procurarsi il documento interessato.

Lei stette fissa, a tutta prima indecisa sul cosa fare, che diamine dire, come venir fuori da quell’angolo nella forma più idonea, forse anche per riparare al suo antecedente inopportuno sarcasmo, ma poi optò per passare all’attacco. Sicuramente il procedimento più sensato e a veloce portata di mano, per scongiurare intoppi sgradevoli.

«Senta, signor Blair, non occorre tirare in lungo. Ho concluso che mi ritiro, cioè, non credo di essere…»

«Ho deciso di darle la parte della protagonista» la tacitò lui flemmaticamente, senza tuttora guardarla.

«Come ha detto?» s’intontì, turbinando gli occhi, senza parlare della sua mente, ancor più vorticosa ed incapace di arrestarsi dal suo divellente scompiglio.

A siffatta replica lui erse il capo e la scrutò indagante, corrugando la fronte. «C’è qualche problema?»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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