CHIAREZZA, BELLEZZA Cap. 3

«Oh, andiamo, è il suo lavoro e lo sa fare molto bene, e se ti devo dire la verità, spero tanto che riesca ad aiutarmi. Da sola non posso farcela, ed è sfiancante, ti giuro, non so più che cosa fare» si affrancò, manifestando infine il suo scoraggiamento, ma che ormai era in procinto di abbandonarla. Sì, si fidava di quell’uomo, ed era sicura che con i suoi metodi decisi ma non invasivi, la sua encomiabile discrezione e la sua smisurata intuitività, lui sarebbe stato in grado di cambiarle la vita, in ciascun verso.

«Ehi, bambina, ti ho detto mille volte che puoi venire da me» si risentì Jesse, nell’aver negativamente letto quella dichiarazione. «Se vuoi possiamo anche andare ad abitare insieme, semmai i miei non fossero d’accordo per ospitarti a casa nostra.»

«Non se ne parla, Jesse, non complichiamo le cose. Siamo giovani e non bruciamo tutto così, per una semplice complicazione che è solo temporanea, ne sono sicura, e poi tu hai tanta strada da fare» protestò lei, non voleva diventare un peso o un obbligo per lui, né tanto meno una scocciatura.

«Sicuro, ma voglio farla con te, lo sai che mi basterebbe un cenno e ti sposerei subito.»

Lo sguardo di lei si miscelò di gratitudine e svilimento. «Lo dici adesso, ma dopo, se col trascorrere degli anni tu dovessi pentirti della tua scelta, che cosa succederà?»

«Per me non cambierebbe niente» asseverò, certissimo delle sue parole.

«E invece no, perché saresti costretto a lavorare, non avresti tempo per studiare, ed io non ti voglio rovinare la vita, o se non altro desidero procedere con i passi giusti. Perciò se un giorno dovessimo sposarci sarà unicamente perché lo desidereremo, quando saremo sistemati, ma al disopra di tutto nella piena libertà di decidere, senza costrizioni, senza porre le basi per poter giungere a recriminare un giorno.»

«Non potrei mai recriminare, dolcezza, io voglio te, in qualsiasi caso, che sia adesso o tra dieci anni, quindi per me non c’è nessuna differenza.»

«Ah, allora non mi ascolti!» si sdegnò, ma scherzando.

«No, piccola.» E l’abbracciò baciandola ancora sulle labbra. «Stai dicendo un mucchio di idiozie.»


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«Non credo che quell’uomo accetterà.»

«E dunque, dottor Klein, cosa consiglia di fare?»

«Signor preside, io non vorrei, non intendevo pervenire a questo punto, ma…» Un battito alla porta lo interruppe. «Mi scusi, la chiamo appena mi libererò.»

Nick riabbassò il ricevitore ed invitò ad entrare, ma allorché vide comparire la madre di Faith, restò interdetto, silenzioso.

La donna chiuse la porta e si avvicinò alla scrivania, un’espressione tormentata, completamente opposta a quella precedente, si sedé e in un attimo intraprese: «Dottor Klein, io devo parlarle, non ho potuto eseguirlo di fronte a mia figlia poiché è una questione molto delicata di cui anche Faith non è a conoscenza, e lei deve sapere alcune cose, prima di spingersi fino a decisioni estreme.»

«La ascolto» la invitò lui, impassibile, sicuro che ciò che sarebbe venuto dopo, non gli sarebbe un granché piaciuto.

«Mio marito non accetterà mai di seguire una psicoterapia, figurarsi poi con me, in quanto ritiene che sia io l’unica responsabile del suo comportamento poco ortodosso. Lei lo avrà intuito che picchia mia figlia, talvolta anche me, e per essere sincera io me lo merito, però Faith no, è un po’ esuberante, ma è una cara ragazza e…»

«Signora, non dica sciocchezze, qualsiasi cosa lei faccia o dica non si alzano mai le mani, soprattutto su una donna. Suo marito deve imparare a sfogare le sue frustrazioni con un altro metodo» disdegnò lui, indurito dall’esplicita conferma ricevuta.

«Sono d’accordo, però le devo spiegare, non faccia passi affrettati, la prego, non contatti i servizi sociali, non voglio che mi portino via i miei figli. Loro devono stare con me, anche se sono costretti a patire le conseguenze della mia scelta di sposarlo e le giuro, è da tempo che vorrei andarmene con loro, solo con loro, ma non ho né la forza né le possibilità. Sono ancora troppo giovani e non riuscirei a seguirli da sola, a seguire me stessa, non ho una personalità stabile e risoluta, sono un vero disastro.»

«Va bene, allora mi dica» concesse lui, avendo rilevato una cospicua disperazione da quella specie di confessione.

«Non qui, non ora, devo tornare subito a casa per preparare la colazione a mio marito. Ha fatto la notte con un giorno di anticipo senza preavviso e sarà sicuramente nervoso, detesta quando qualcuno sconvolge i suoi programmi o semplicemente la sua routine. Quindi se dovesse svegliarsi e constatare che non gli ho preparato nulla, potrebbe agitarsi e vorrei evitarlo, se non altro quando mi è possibile.»

«Dovrebbe evitarlo sempre, signora Monroe, e questo non dipende solo da lei» evidenziò, tuttora rigido, forse furioso che quell’animale spadroneggiasse così incisivamente nella vita di quelle persone.

«Mi ascolti, io non posso che darle ragione ma devo proprio andare, incontriamoci questa sera e ne parleremo con calma. Mio marito fa l’orario 2-10, per cui verso le sette di sera va a letto, potremmo vederci alle sette e trenta, se per lei non ci sono problemi.» Prese un post-it dalla scrivania e vi scrisse sopra. «Questo è il luogo, un ristorante sulla Second Avenue, la aspetto lì per quell’ora, sempre che lei non abbia altri impegni e possiamo rimandare a domani sera, decida lei.»

Dall’uomo fuoriuscì un marcato respiro, era alquanto inusuale come procedura, anche al di fuori del suo orario di lavoro, per non parlare del luogo. Non era sua abitudine, in verità non lo aveva fatto mai, e mai lo avrebbe fatto, per nessuno, questa era una regola che si era ripromesso di non violare.

Ciononostante ci ragionò sopra, nell’aver inteso che fosse l’unico sistema per risolvere la faccenda. Probabilmente la donna non sarebbe potuta tornare a scuola, timorosa che il marito avrebbe dubitato di Faith, che avesse combinato qualche guaio, onde per la quale era ben presumibile che avrebbe rinnovato uno dei suoi abituali assalti.

«D’accordo, alle sette e trenta. Ci sarò.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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