CHIAREZZA, BELLEZZA Cap. 3

«Mamma…» bisbigliò Faith, tremendamente mortificata. Conosceva bene la situazione tra lei e suo padre, era difficile anche per la madre, quell’uomo era un vero despota, un violento, e senza dubbio non le avrebbe elargito un bel regalo, perfino se lei gli avesse richiesto di eseguire quel tipo di psicoterapia.

«Stai tranquilla, è tutto ok.» La donna prese una mano della figlia e gliela strinse calorosamente per rassicurarla.

Nick si era intenerito, soprattutto nel ravvisare l’espressione fragile ed ansiosa di Faith, oltre che per quel caloroso contatto che gli aveva erogato un po’ di fiducia nei confronti della madre.

In pratica aveva riscontrato che le volesse bene, per cui preferì attendere che fosse la donna a parlare. Ormai ciò che c’era da dire da parte sua era stato onorato, non era il caso di addentrarsi nei particolari.

«Va bene» accettò Darlena, d’un tratto, «stasera ne parlerò con mio marito.»

Nick annuì silente, un attimo assorto. Era alquanto stupito che fosse stato talmente semplice, e appunto per questo un sospetto lo insidiò.

Darlena si rimise in piedi, rigida ma composta. «Ora andiamo, Faith.»

La ragazza si alzò e, dopo un inchino di saluto a Nick, seguì la madre fino all’uscio, allorché un richiamo la bloccò.

«Faith.»

Lei si arrestò con il respiro fermo in gola, e a rilento si orientò verso Nick che le stava venendo incontro e che, una volta raggiunta, le tese un biglietto da visita, intanto che la madre, spedita, aveva già varcato la soglia e raggiunto il corridoio.


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«Questo è il mio numero di telefono privato, un cellulare che ho acceso anche la notte. Chiamami se hai bisogno, per qualsiasi cosa, intesi?»

Rintronata dall’improvvisa confidenzialità dell’uomo, Faith prese il biglietto rigirandoselo tra le mani, a dir meno sbalordita. Si chiese al contempo se lui avesse intuito anche questo, che la notte fosse uno dei momenti più critici che la inducevano a fuggire e rifugiarsi da Jesse, quando il padre non era impegnato con il lavoro e rimaneva in casa a stravolgere gli animi della sua famiglia.

«Io non credo sia necessario» alla fine decise di dirgli, ma fu lei la prima a non mostrarsi convinta, quindi era logico che non avesse convinto neanche lui.

«Faith.» E lei sussultò, rabbrividì a oltranza nell’istante in cui l’uomo le avvolse il mento con un palmo per farle innalzare il volto verso di lui.

«Per qualsiasi cosa» ribadì Nick, fissandola intensamente negli occhi, fisso lui stesso, ma allorquando lei sgranò le ciglia e schiuse la bocca guardandolo un po’ persa, fu lui a restare senza respiro. Osservò per un attimo le sue labbra, frastornato, forse magnetizzato, non riuscendo ad articolare una sola parola. Adesso era lui a sentirsi perso.

Ma si scosse, le lasciò andare il mento e mise in atto un previdente passo all’indietro, infilandosi le mani in tasca.

Faith continuava a non proferire nulla, un pochino stravolta da quell’atteggiamento. Si sentiva strana, assai più che confusa, ma di sbalzo si scosse anche lei, udendo il richiamo della madre che la stava cercando, ed esaudendo il suo solito impulso fuggitivo si mosse per andarsene, senza nemmeno salutarlo.

Nick restò a fissare la porta chiusa, notevolmente disorientato. Tuttavia si scosse ancora, riattivò la sua lucidità e ritornò alla scrivania, dove impugnò il telefono e pigiò il tasto del numero interno del preside.

«Avevi proprio ragione, quell’uomo è strepitoso, uno su un milione» approvò Darlena, con fare più che appagato.

«Io non ho usato queste parole» oppugnò Faith, seccata, forse con se stessa per come si era sentita sotto quelle mani, quello sguardo, per lo scarso rispetto nei riguardi di Jesse, senza poi considerare la sua condotta immorale, farsi coinvolgere da un uomo che in teoria sarebbe potuto essere un suo insegnante.

«Ehi, guarda, c’è Jesse» deviò prontamente la madre, e Faith si affrettò a salutarla.

«Ci vediamo dopo, mamma, ma…» E si arenò. «Vuoi farlo davvero, cioè, domandare a papà di fare quelle sedute?»

«Ne parliamo dopo, adesso va’. Il tuo fidanzato ti sta aspettando e lo vedo anche abbastanza impaziente» sviò di nuovo la donna, sogghignando affettuosa.

«È vero.» Sogghignò anche lei. «Vorrà sapere com’è andata, ok, io vado.» E si lanciò istantaneamente alla volta del ragazzo.

Jesse l’accolse calorosamente e la issò facendola volteggiare tra le sue braccia. «Allora, bambina, sei in castigo?»

«Ah, piantala!» scampanellò lei, tra le risa.

«Dico sul serio.» La depositò a terra e la baciò sulle labbra. «Cosa vi ha detto?»

«Non ci crederai mai!» Era oltremisura esultante, felice come da quanto non rammentava.

«Andiamo, non farmi stare sulle spine!» scalpitò lui, fissandola fremente, felicemente impressionato della sua gioiosa manifestazione.

«Se proprio insisti» ridacchiò lei, pur tentando di raffreddarsi, dato l’argomento da esporgli. «Ha consigliato alla mamma di risolvere i suoi problemi con papà andando da uno psicanalista.»

«Ah, è furbo l’amico…» vagliò Jesse, ancor più impressionato.

«Vero, è in gamba, ha capito tutto senza che io gli dicessi nulla» avvalorò lei, con un vispo sorriso un po’ più contenuto.

«Ah, sì?»

«Sì, comunque è stato anche fortunato, insomma, ieri mi sono dovuta presentare mezza nuda dopo quel piccolo incidente in palestra, e lui aveva visto uno dei regalini di papà» gli riferì, festosa, incapace di trattenere la sua contentezza.

«Non gli avevi raccontato nulla?» insisté, un tantino impensierito, dacché se un perfetto sconosciuto si era accorto della situazione, o quantomeno estraneo ad essa seppur fosse del mestiere, voleva chiaramente significare che fosse piuttosto grave, addirittura più grave di quanto lui avesse immaginato.

«Scherzi… no, ma perché me lo chiedi?» Lo studiò in volto, quella reazione le giungeva inattesa.

Jesse mosse il capo in segno di negazione, allo scopo di non rivelarle i suoi tormenti. «No, niente, stavo notando che ha preso molto a cuore la tua situazione.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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