L’ORFANELLA DAI CAPELLI D’ORO di Anna Valle

Sulla cima di un monte, in una valle gelida e senza vegetazione, viveva una famigliola numerosa, papà, mamma e sette figli, tra cui un’orfanella che era stata raccolta ai piedi della montagna, quando in Primavera il gelo e la neve avevano liberato tutti i figli della Natura.

Questa orfanella non sapeva di essere tale, non sapeva delle sue vere origini perché, per conservare l’armonia nella famiglia, mamma e papà non ne avevano mai fatta parola.

I tempi erano duri, perché sfamare nove bocche, specie d’inverno, non era tanto facile per il papà che faceva il cacciatore. Tanti animali non si potevano allevare, vista la rigidità degli inverni, ed infatti essi avevano soltanto una capretta ed una mucchina che davano latte da poter anche trasformare in formaggio, e qualche gallina per le uova. Oltre ad un asinello per trainare il carro.

Tutti maschi, lei l’unica femminuccia, i suoi fratelli erano enormemente protettivi con lei. Anche il papà era tanto protettivo, e spesso la mamma si contrariava dacché, in codesta maniera, non le davano modo di crescere sana e forte, sia di carattere sia di corpo.

La bambina però era tanto tanto operosa e ligia al dovere, non si arrestava mai e faceva di tutto per compiacere la sua mamma, che, non sapeva come mai, a volte vedeva un pochino scontrosa, come se la sua presenza la irritasse.

Naturalmente non era vero, diciamo che era una specie di rivalsa poiché, quando ella era stata una bimba, non aveva ricevuto tante attenzioni e, forse, era un pochettino gelosa.

Comunque, a parte ciò, che forse rappresentava un costante pericolo per l’orfanella giacché era sempre in movimento e non si riposava mai, osando altresì incombenze non adatte a lei e dunque rischiose, la bambina era veramente felice ed ogni sera, nelle sue preghierine ringraziava tanto il Signore per quanto le aveva donato. Si sentiva davvero fortunata.

Di nuovo l’inverno era alle porte, e frenetici erano i preparativi per racimolare quante più provviste possibili, giacché, con neve e bufere il sentiero fino al paese sarebbe stato inagibile. Gli animali cacciati con il gelo si conservavano bene, fortunatamente, ma cereali e conserve dovevano essere acquistate alla bottega del paese.

Funzionava il baratto, essi davano il formaggio ed in cambio ricevevano gli ingredienti per il pane e le cose basilari per nutrirsi.

Sul carro, la mattina che si partì per il carico definitivo, c’erano il papà, l’orfanella e due fratelli più grandi, James e Carl. Tutti infagottati per bene giacché il freddo acuto cominciava a farsi sentire.


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Non s’è detto che l’orfanella, di nome Aurora, aveva adottato un piccolo animaletto, un animale che tanto non piaceva alla mamma per la verità, in quanto era un grosso topo di campagna, per la precisione un ratto.

Lo portava sempre con sé, a volte nel taschino del grembiulino, a volte le si stava buono buono sulla spalla, proprio come un pappagallo, e a volte la seguiva correndo e saltellando e piroettando con la coda, quando nelle sue faccende non poteva tenerlo addosso. Erano inseparabili.

Perché un topo, forse perché è un animale senza troppe esigenze, sia per cure sia per nutrimento, che già in effetti scarseggiava alla famigliola stessa. E ad ogni modo era stato un Amore a prima vista, quando, ancora cucciolo e pressoché minuscolo, la bimba lo aveva raccolto da una grossa buca scavata nel terreno da qualche grosso animale e, ferito ad una zampetta, ci era caduto senza poter risalire.

Il topo le era stato profondamente grato, avendo visto la sua fine vicina, e da quel giorno erano diventati amici per la pelle.

Mentre il carro percorreva l’irto sentiero, cosparso di sassi e di pietre, la piccola Aurora teneva stretto a sé il suo amico, per paura che qualche scossone lo facesse volar giù dal carro. Abbastanza apprensiva, diciamolo, perché conosciamo bene l’agilità dei topi…

Però, all’improvviso accadde un fatto insolito. D’un tratto il topo si divincolò e balzò giù dal carro ancora in movimento.

«Teodoro!» Era questo il nome del topo. «Papà… fermo!»

Aurora saltò all’istante dal carro per rincorrerlo, il topo aveva preso uno slancio non indifferente per cui, senza fermarsi gridò: «Continuate senza di me, io verrò a piedi.» Il tratto di strada mancante non era lungo quindi avrebbe potuto percorrerlo a piedi, appena avesse recuperato il topo.

Così, tranquillamente, ed anche un po’ divertiti, il papà ed i suoi fratelli ripresero il cammino, mentre Aurora strillava come un’ossessa per fermare il topo.

«Ma che gli è preso…» borbottava mentre correva, finché non lo vide addentrarsi in una specie di grotta dall’ingresso quasi invedibile, mai vista prima d’ora, ma che era vicina al luogo in cui lo aveva trovato da cucciolo. Non sapeva che era stata trovata anche lei lì, dal suo papà adottivo.

«Sarà nato qui?» si chiese, pensando ad una sorta di ritorno alle origini, pazzesco, ma non impossibile, essendo il suo Teodoro molto particolare, anzi, a tratti non pareva neanche un topo, quanto piuttosto un animale domestico che aveva assorbito un bel po’ di inclinazioni umane.

«Ciao, Aurora» udì all’improvviso, e la bambina si arrestò.

«Chi parla?»

«Sono Teodoro.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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