NEL CASTELLO DI TRASAGHIS di Daniela Nicoletta Quintiliano

«È vero, Fata Regina, ma rammentate che il problema parte dalla politica degli Uomini… ci sono troppe preferenze e parole e sentenze senz’alcuna verità, e il popolo lo sa. Sono sulla scia della ribellione, non vorrei che molto presto esploda una rivoluzione.»

«Fata Badessa!» Si levò una voce imperiosa, ma ferma e dolce nello stesso istante: era la Fata Rawen, l’educatrice dei bambini e dei ragazzi, adorata da tutti gli abitanti della Valle per il suo modo di fare rigoroso ma dolcissimo. «Concordo pienamente con il vostro giudizio, è proprio la politica la vera malattia ed un grande vizio, che distrugge il mondo e invade il profondo del Cielo e della Terra. Non si hanno più colori nel furore della guerra, vi sono ingiustizie dolorose che toccano l’uomo, che non riesce più a mantenere la famiglia, non vi è futuro per un figlio e una figlia… dilaga la piaga della corruzione, non vi è più rispetto nemmeno per se stessi, e le strade brulicano di morti riflessi in vetrine che rimandano un’immagine oscura. E la gente ha terrore e paura, non vi è sicurezza, né un lavoro, una certezza di vedere la ruota che gira, osservare con orgoglio ciò che ha seminato. Dal tempo dei tempi si nasce, si cresce, si vive, si muore, ma una volta vigeva l’amore della sacra famiglia, di un figlio e una figlia, di una madre e di un padre, e la saggezza di una nonna. Oggi invece una donna, ha perduto gran parte dei valori, in mezzo a tante delusioni, oltre ai torti e le ragioni, dove tutto è permesso, tutto è un eccesso perso dentro la follia che sconfina nell’oblio, sono soli e senza Dio. Senza un credere in qualcosa, una ragione per cambiare, eppur dovranno sottostare alle iniquità dei potenti, che hanno troppo e non gli stenti, in cui han ridotto il loro popolo che paga le tasse e anche il dazio, e vederlo sprofondare è proprio un grande strazio… Il Regno Umano! Così bello, così fiero, così sensibile, così austero… è diventato l’ombra di se stesso, senza leggi giuste, senza reali proposte. Si ergono onorevoli, senatori e presidenti, con ville incastonate, ristoranti, appartamenti, pagati e rubati al popolo sovrano, tutto di nascosto ed ora han le mani in mano.»

Con un inchino, la Fata Regina riprese la parola: «Fata Rawen, ciò che avete detto è vero. Il popolo del Regno Umano ha le mani legate e parla invano. Di fronte ad un potere corrotto, falso, malato, arrivati al giorno d’oggi han proprio esagerato. Respirano un fumo pesante, la gola soffoca e l’aria è grigia, nessuno può fuggire né fare una valigia, per andare dove c’è la purezza del mare, dove c’è il calore del sole che nel Regno Umano si è affievolito… e nessuno tocca più, il Grande Cielo con un dito.»

Fece capolino una timida vocina: «Ma, allora siamo sull’orlo della disfatta…!» Era di una bella Fatina, ed un gruppo di voci preoccupate mormorò un triste assenso. Era questo il grave problema, il Regno Umano che tanto amavano era in declino. Esistevano molti mondi paralleli sia nel Cielo che sulla Terra, che si toccavano per motivi diversi. Alcuni erano attuali, altri si erano persi nell’Era dei Tempi e ciò stava per succedere anche al loro.

La Fata Badessa decise di interrompere la riunione e riprenderla qualche giorno più tardi, per dare modo alle Fate di pensare a un portento per aiutare gli amici Umani e il loro bellissimo Regno che tanto avevano curato e adorato… con la promessa che ognuna di loro avrebbe dato il suo contributo. Il loro potente pensiero avrebbe portato l’aiuto necessario per far risorgere il Regno Umano, affinché potesse ritornare pulito, sincero, amico… carico di dolcezza e fantasia, di bellezza e di poesia.

Sorvolando i monti, i mari e gli orizzonti dai colori mozzafiato durante tramonti ed aurore, ciascuna Fata tornò alla propria dimora e alla sua magica attività, pronta a compiere quest’importante missione con diligenza, coraggio e dedizione.

Fata Rawen tornò al suo Castello nella Grande Valle del Sorbo Selvatico, dove tutto era più bello, dai colori ai sapori, dalle stoffe ai bagliori dell’oro di un tramonto che illuminava la conca incantata, e il verde dei prati e gli spazi smisurati erano un incanto.

I bambini amavano rotolarsi lungo il fiume, e giocavano quei piccini fino a sera, quando il lume li avvisava che era l’ora della nanna. E Fata Rawen, che era una mamma, ogni sera narrava una favola, ma non era una storia… era una cosa vera.

Così raccontava, con il tipico parlare in rima degli Esseri Fatati della Valle: «Vedete, bimbi miei, il Popolo Umano un tempo era stupendo e ci si dava una mano, vi era il rispetto per Madre Natura, qualsiasi cosa scintillava e non era mai scura. L’uomo si nutriva di ciò che dava la Terra e il sapore era gustoso, profumato, assai mieloso. Si tuffava nel mare per gioire, per pescare solo ciò che il bisogno proponeva per mangiare… Vi eran giorni per il lavoro ed altri per il riposo, vi era festa assoluta per la sposa e lo sposo. La cosa più importante era la famiglia, la gioia più grande un figlio o una figlia, esisteva il rispetto universale per ogni cosa, dalla nascita alla morte era una storia preziosa. Ma un brutto maleficio colpì l’Essere Umano, diventato avido, cattivo e non più capace di darsi la mano. Oggi regna la violenza, l’ingiustizia e l’indifferenza della propria stessa gente, che ride, scherza e parla per niente. Bisogna recuperare gli albori e le glorie del tempo perduto, riattivare la bontà al più presto assoluto. C’è urgenza di volare e quel popolo aiutare, facendolo tornare ai grandi valori e dalla guerra uscire fuori.»

Quella notte nel Castello delle Fate, Fatini e Fatine, quando si spensero le luci e si accesero le stelle, non dormirono subito ma pensarono alle belle cose da elargire agli Uomini. Sognarono come aiutare il mondo sfortunato del Popolo Umano, per farlo tornare come prima, all’epoca in cui nessun maleficio lo aveva costretto a farsi la guerra.


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La Fatina Abigail pensò, pensò e ripensò fino a che non si addormentò, in cerca di una risposta che forse le arrivò. Si alzò che ancora il sole doveva nascere e splendere, volò come soltanto lei sapeva fare. Andava a zigzag, di fiore in fiore alla ricerca del suo amico Carpazio, il buffo Folletto che non credeva a niente fino a quando non ci sbatteva il naso di brutto. Non capiva, non capiva che le Fatine non mentono mai! Loro sono diverse dai Folletti, dagli Gnomi e da tutti.

Gli raccontò quello che stava accadendo nel Regno Umano e insieme andarono a cercare gli altri Elfi, Gnomi e Folletti. Una volta trovati, si diedero tutti appuntamento ai piedi del Grande Albero Incantato, per riunirsi in una magica preghiera attorno al Sorbo Selvatico che diffondeva un profumo veramente soave.

Quella sera la Grande Valle del Sorbo Selvatico era affollata da Gnomi, Gometti, Elfi, Elfetti, Fate, Fatine, Folletti… Migliaia di ali volteggiavano leggere sotto i riflessi della Luna, e tutti si auguravano che la fortuna sarebbe stata loro amica e clemente alleata. L’immenso prato sembrava un mare argentato di stelle che brillavano felici come stelle filanti, e si mescolavano con l’infinito blu del cielo che ammantava tutto intorno, come un lungo e setoso velo.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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