LO GNOMINO DELLA TERRA INCANTATA di Antonella Pece

Allora si fece diffidente, molto più di quanto lo fosse stato all’inizio, pensando che fosse uno scherzo o, più probabile, un metodo per essere messo alla prova. Ma da chi? E perché? Si sfregava il mento lo Gnomino, e pensava pensava, eppure non riusciva proprio a capire, tutto ciò era un’autentica anomalia.

«Va bene» dal fine disse. «Allora la prima cosa che dovrai fare per me, è fare la guardia alla mia casetta.»

«Signore» obbiettò garbato l’Elfo. «Per questa mansione è già impegnata la tua beneamata lucertola, e a nulla vale la mia presenza, non essendoci tesori o preziosi da preservare.»

«Ma che cosa potresti fare?» si scoraggiò lo Gnomino, non aveva proprio idea di quale incarico affidargli. «Lavorare con me nella caverna è troppo duro, la tua è una razza nobile che si confà di più alle arti. Le tue mani delicate sono nate per essere di un artista, e inoltre nelle mie mansioni bisogna essere pratici, allenati e della stazza giusta. Tu sei troppo alto e faresti sì troppa fatica.»

«Mi insegnerai.»

«Uhm…» A quel punto alzò le mani. «D’accordo, vieni con me.» Si voltò e gli fece strada fino alla galleria, precedendolo.

Camminarono per qualche metro, l’Elfo un po’ incurvato e sfiancato per l’impraticabilità del percorso non di certo a sua misura, non mostrava però segni di insofferenza o nervosismo, al contrario, tutto d’un pezzo s’era presentato e tutto d’un pezzo arrivò con lui a destinazione.

Mentre afferrava il suo minuscolo piccone, rivolto all’Elfo lo Gnomino dispose: «Ora siedi lì, e guarda come lavoro.»

«Non devo aiutarti?»

«No, sarai il mio supervisore. Controllerai che il mio lavoro sia svolto alla perfezione e mi darai consigli secondo la tua indole artistica.»


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L’Elfo lo guardava perplesso. Cosa mai di artistico poteva celarsi, dietro la costruzione di una galleria o la raccolta di pietre e metalli dalla roccia? Ma obbedì. Si sedette e rimase ad osservare lo Gnomo mentre riprendeva le sue fatiche.

E così avvenne per i giorni a venire. L’Elfo lì, a trascorrere le sue giornate seduto, ad assistere agli incarichi svolti dallo Gnomo, e la notte a dormire in un letto di fiori costruito apposta per lui, mentre lo Gnomino ultimava le sue ronde.

«Cosa devo fare oggi?» comunque chiedeva l’Elfo ogni mattina. E lo Gnomo che ripeteva: «Dovrai controllare se lavoro bene.»

Un giorno, pur nel rischio di rendersi sfacciato l’Elfo domandò: «Signore, perché mi costringi ogni giorno a guardare semplicemente il tuo lavoro? Non mi reputi forse all’altezza?»

«Al contrario» negò lo Gnomino. «Credo che tu sia stato mandato da me per errore e non voglio approfittarne, non sarebbe giusto.»

«Gnomino, hai dimostrato il tuo grande valore, mediante la tua gentilezza e la tua umiltà, ed ora sei pronto.»

Lo Gnomino si voltò di scatto e si trovò alle spalle Madre Natura. «Pronto per cosa?»

«Per aprire lo scrigno.»

«Ma… ma…» balbettò lo Gnomino. «Io sono solo uno Gnomo!»

«Questo non è vero.» Allora Madre Natura chiamò una Fatina dalle ali argentate che, agitando la sua bacchetta dai contorni perlati, lo circondò di una potente luce azzurrina cinguettante, che man mano si addensò come una nuvola, tanto densa che nascose tutta la sua minuta figura. Ma, improvvisamente, ne uscì un giovane, alto, bellissimo, abbigliato con un’armatura d’argento tutta intarsiata e decorata con fili d’oro puro, con al centro il disegno in rilievo d’un maestoso stallone, una lunga e possente spada dall’elsa fatta d’oro massiccio e con rubini incastonati.

«Dammi la tua spada» gli ingiunse dolcemente Madre Natura.

Lo Gnomino, o meglio, il giovane, che poco poco si era reso conto dell’accaduto, guardandosi la figura ad occhi sbarrati non aveva ancora notato la spada, quindi per i primi secondi rimase un tantino imbambolato, e non ebbe un moto.

Allora Madre Natura fece un gesto all’Elfo che, spostandosi il mantello, s’inginocchiò di fronte al giovane.

«Signore, vogliate darmi la vostra spada.»

Il giovane strabuzzò gli occhi e senza accorgersene estrasse la spada dal fodero e la consegnò all’Elfo il quale, dopo un suo usale inchino, con delicatezza la prese e la porse a Madre Natura.

Madre Natura la impugnò, e nella sua candida e fiorita evanescenza si avvicinò al giovane e sollevò la spada, posandone delicatamente la punta sulla sua spalla sinistra.

«Ti nomino Cavaliere del Regno, e protettore e governatore onorario di questa Terra Incantata. Sarà tua cura e tuo dovere proteggere tutte le sue creature, dare loro supporto ed amorevole mano in caso di necessità.»

«Ma… come…» mormorò finalmente il giovane, seppur a stento. «Come potrei io, un povero Gnomino, avere siffatta responsabilità? Io so solo scavare nella roccia e fabbricare manufatti, sono un manovale. Sono solo uno Gnomo.»

«Non sei più uno Gnomo, o piuttosto, non lo sei mai stato.» Diresse lo sguardo verso il tesoro e facendo ondeggiare la mano come in una specie di danza magica ordinò: «Che il sigillo sia distrutto.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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