LA MERIDIANA DELLE FRAGOLE di Benedetta Tarducci

Quando arrivai, a mezzogiorno passato da poco, la lezione era già iniziata.

Un gruppetto di persone, munite di vetrini neri, stava misurando l’altezza del Sole dall’orizzonte libero del cortile dell’Università. Capii che non mi ero persa granché e, dalla grossolanità con cui i presenti tentavano di fare delle stime con metodo hands-on, realizzai che non mi trovavo di certo circondata da esperti astronomi. Bene. Una lezione divulgativa era quello in cui speravo: nei trentasei gradi che cuocevano le strade assolate di Urbino, non mi andava affatto di sorbirmi un erudito seminario accademico.

«Scusate il ritardo… ho avuto un contrattempo.» Nascosi in fretta la busta con il logo del negozio dove mi ero attardata per acquistare un grazioso segna-vita che avevo scorto in vetrina. Non potevo non comprarlo, era il dettaglio che mancava all’abito che la domenica seguente avrei indossato al matrimonio di mio cugino.

Con un sorriso timido mi unii alla compagnia. Si trattava perlopiù di studenti, soprattutto ragazze, che, incuriositi dall’inusuale ubicazione della conferenza ed ancor più dalla mercanzia di singolari articoli astronomici disseminata nel prato della Facoltà, si erano via via avvicinati a quella che la relatrice definì più volte una vera e propria lavagna astronomica.

Ne avevo sentito parlare e l’avevo distrattamente intravista durante le mie veloci pause sigaretta in giardino, tra una lezione e l’altra. Una splendida meridiana verticale, abilmente realizzata nel cuore di una Facoltà universitaria, non per sfizio architettonico ma, come rimarcato più volte nel corso del seminario, affinché i docenti potessero usarla per divulgare conoscenze scientifiche anche al di fuori delle aule.

Per la verità, più che di una meridiana si tratta di un sofisticato Orologio Solare, disegnato su lastra di pietra ed incastonato nella parete dell’ala occidentale dell’antico Convento di San Benedetto, parete che si affaccia sul singolare giardino pensile del complesso di Palazzo Battiferri, sede della Facoltà di Economia e dell’insolita lezione a cui stavo partecipando.

«…se osservate attentamente noterete che la forma ricorda un trapezio a basi curvilinee che, astronomicamente parlando, indicano le curve dei solstizi: in alto quello invernale e in basso quello estivo. Inoltre, ai lati è possibile riconoscere i simboli delle Dodici Case dello Zodiaco, sei ad Ovest e gli altri ad Est: i primi sei mesi in crescita verso il Tropico del Cancro, e i rimanenti in calo verso il Tropico del Capricorno.» La forte gestualità e i toni vigorosi che accompagnavano la spiegazione rendevano l’atmosfera frizzante. Impossibile distrarsi.

Qualcuno chiese il significato degli “otto” allungati e posizionati al centro, esattamente sulle linee delle ore dieci, delle dodici e quattordici.

«Non si tratta di otto, ma di curve, lemniscate per l’esattezza» immediata fu la risposta.

«E a cosa servono?»


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«A leggere le ore a tempo medio, in accordo con i nostri orologi da polso. Ricordiamoci che, per poter leggere una meridiana, è necessario conoscere la longitudine del luogo in cui ci si trova e l’equazione del tempo.»

«E… non bisogna anche tenere conto dell’ora legale?»

«Certamente!» L’esperta sorrise compiaciuta.

Alternata a giochi ed esperienze interattive, prese vita una vivace e dettagliata spiegazione scientifica. Intanto il numero di astanti era salito e con esso la calura estiva. Non volevo spostarmi dalla postazione ombreggiata che avevo faticosamente conquistato ma la sete era troppa così, approfittando di un momento di pausa in cui venivano ripetuti i concetti basilari ai nuovi arrivati, mi allontanai per comperare una bottiglietta d’acqua.

Notai che una ragazza mi seguiva correndo. «Vai anche tu al bar?»

«Sì» risposi flebilmente, continuando a camminare.

«Oggi si muore dal caldo!» Parlava senza cadenze particolari. Una biondina di carnagione chiara che cominciò a saltarellarmi intorno. Avrà avuto poco più di vent’anni e, al contrario di me, tanta voglia di fare amicizia. «Sei di Urbino?»

Ci pensai un attimo prima di risponderle con un ambiguo “Non esattamente”.

«Io abito giusto qui dietro» continuò lei.

«Sì… bene.»

Per nulla infastidita dalle mie risposte telegrafiche iniziò a domandarmi di tutto. Pazientemente risposi senza dire né chiedere troppo, come il tempo mi ha insegnato a fare. Tutto sommato c’era qualcosa di piacevolmente affabile nei suoi modi.

Nel breve lasso di tempo necessario per scendere e risalire le due rampe di scale che ci separavano dal bar della Facoltà, situato al piano sottostante, riuscì ad intenerirmi a tal punto che non trovai il coraggio di rifiutare la sua offerta di bere qualcosa insieme la sera stessa. La sua gentilezza garbata era fuori dal comune e potevo già percepire gli effetti benefici che avrebbe prodotto sul mio temperamento, a detta di molti piuttosto scontroso, soprattutto negli ultimi tempi.

In fondo si trattava di una studentessa fuori sede che, rimasta sola in quel caldissimo fine settimana, cercava disperatamente qualcuno con cui fare quattro chiacchiere, o almeno quella era l’impressione che mi aveva dato. Perché mai avrei dovuto negarle un po’ di compagnia in un anonimo venerdì sera, in cui non avevo altro in programma che appollaiarmi davanti al televisore?

«Allora ci vediamo stasera alle nove, in piazza davanti alla fontana.»

Risposi subito di sì. «Ma facciamo alle nove e un quarto… è meglio.» Quindici minuti mi sembrarono un buon compromesso per non lasciare a lei l’intero pacchetto decisionale.

«Alle nove e quindici. Ti aspetto.»

Riaffiorate in superficie, raggiungemmo nuovamente il gruppo al quale si era appena unito un drappello di docenti universitari, la cui presenza impose un livello più alto al tono della spiegazione, perdendo così parte della gradevole spontaneità iniziale.

«…allora, ricapitolando, abbiamo rintracciato sulla mappa il meridiano che lancia il segnale orario del mezzogiorno per tutta l’Europa Centrale, per intenderci quello che passa per il fuso dell’Etna, ed abbiamo visto che dista 15° Est da Greenwich. Dunque, poiché noi ci troviamo a circa due gradi e mezzo ad Ovest dall’Etna e dodici e mezzo da Greenwich, traducendo il tutto in termini temporali, la differenza di longitudine dall’Etna corrisponde, più o meno, a dieci minuti che andranno aggiunti alla lettura delle linee a tempo solare vero.»

«Cioè quattro minuti ogni grado!» La mia nuova amica seguiva attentamente il discorso e non si limitava ad annuire distrattamente con il capo come la maggior parte dei presenti, ma azzardava addirittura brevi interventi, perlopiù scontati ma comunque pertinenti.

«Precisamente!» Sorrise la relatrice. «Per finire, occorre regolarizzare l’incostanza della velocità del moto di rotazione, con correzioni numeriche che si leggono su apposite tabelle.»

E qui vennero distribuite ai presenti alcune fotocopie. Mi avvicinai per assicurarmene una. Il Sole intanto stava inesorabilmente salendo verso il punto di massima altezza a cavallo del meridiano celeste, quando ormai solamente una manciata di attimi ci separavano dal Solstizio d’Estate.

«Ci siamo… ha quasi raggiunto il Tropico del Cancro» sentii bisbigliare.

Fu allora che il Sole si fece minuscolo e, come risucchiato, si infilò nella piccola fessura della piastra forata agganciata alla cima dell’asta della meridiana, fino a toccare l’intersezione della curva solstiziale estiva con la lemniscata. La nostra Stella stava trasmettendo il segnale delle ore 12.

Mentre il resto del gruppo scattava foto, una folata di vento improvvisa mi inondò di fiori. Provai una sensazione di benessere estremo, di sollievo, e non solo dal caldo. Delizia fisica e spirituale. I fiori, quelli del tiglio argentato sotto il quale avevo cercato riparo, improvvisarono un’insolita danza nell’aria tutt’intorno a me, scena prima di uno spettacolo sospeso tra sogno e realtà.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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