IL GIARDINO DELLE DELIZIE di Margherita Paris

La Principessa non aveva detto alcunché, neanche ai suoi genitori, in realtà non sapevano nemmeno della totale indifferenza del Principe nei suoi riguardi, altrimenti, dato l’enorme affetto che il Re provava per la sua bambina, lo avrebbe certamente bandito dalla Corte. Ma la Principessa voleva bene a quel testone di un Principe, ed era fiduciosa che sarebbe rinsavito, presto o tardi. Se aveva visto qualcosa in lui, tanto da innamorarsene, allora quel qualcosa sicuramente c’era.

In questa ennesima delusione, la Principessa si dimenticò perfino del Folletto, anzi, dopo quella deludente visita si era rinchiusa definitivamente nella sua stanza. Si ammalò, non mangiava e quasi non parlava, diventò pressoché catatonica.

Preoccupatissimo, il Re interpellò tutti i medici di Corte ma non ne uscì nulla di buono, non seppero guarirla, poiché, a detta di costoro, il male non era nel suo fisico bensì nel suo cuore. E per questo, loro, non avevano cure.

Ed il Re incominciò a farsi disperato, chiedeva continuamente alla figlia cos’era che non andasse, cos’avesse, cosa le fosse successo, ma la Principessa muta, non parlava, timorosa che ora sì, il padre avrebbe seriamente bandito il Principe, semmai egli avesse saputo che era proprio costui la causa del suo male.

Il Principe non accorse, ovviamente, ostentando la dichiarata idea che quella fosse una semplice crisi adolescenziale da femminuccia, pur tuttavia qualcuno accorse. Il Folletto.

Una sera, mentre la Principessa si era affacciata alla grande finestra della sua camera nel castello, scorse un falco volare nella sua direzione, ma così rapido che ella ebbe paura che venisse a schiantarsi contro il muro e indietreggiò. Il falco puntò verso di lei, e quando arrivò ad un palmo della finestra si bloccò, seguitando a muovere le ali sul posto, per mantenersi all’altezza della finestra.

Lei lo osservava stupita, poi adocchiò una testolina che sporgeva dal collo del falco.

«Ehilà!»

«Folletto!»

«Giusto, ancora non ti ho detto il mio nome.» Diede un colpetto al falco che, delicatamente, si posò sul davanzale dell’enorme finestra, affinché il Folletto scendesse.


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Con un balzo il Folletto smontò dall’animale e, tossicchiando, dichiarò: «Il mio nome è Jeredìa. Onorato, Principessa.» E fece un piccolo inchino per solennizzare.

La Principessa ridacchiò, era così buffo, ma più di tutto per quella inaspettata visita che le aveva come rigenerato il cuore. «Tanto piacere, Jeredìa.» E gli porse il dito indice che egli afferrò con tutta la mano, per concludere la presentazione.

«Ehm, molto bene.» Il Folletto tossicchiò di nuovo. «Sei pronta?»

«Altroché!» esclamò, sempre più rigenerata.

«Allora adesso devi chiudere gli occhi.»

La Principessa obbedì, senza alcuna domanda, fiduciosa come non mai, e d’un tratto si sentì leggera, ma così leggera che le sembrò di fluttuare nell’aria.

«Posso aprirli, adesso?»

Una voce più cupa, sempre maschile, le rispose: «Aprili.»

Incuriosita, lei dischiuse le palpebre, e con suo grandioso stupore si rese conto che la sua non era stata solamente una sensazione. Stava volando per davvero.

«Dove siamo?» domandò un pochino intontita, guardando da ogni parte ma vedendo solamente nubi sfumate d’azzurro.

«Sei tra le nuvole» le sorrise la voce.

Lei non riusciva a distinguerne il possessore, data la fitta nebbia che la attorniava. «Sei Dio? Sono morta?»

Una sonora e divertita risata si accrebbe nell’aria.

«No, Principessa. Sono sempre io, Jeredìa.»

«Ma… ma la tua voce è diversa… e perché non riesco a vederti?… Sei uno Spirito?»

«Non riesci a vedermi perché con la tua mente sei ancora ancorata al piano materiale. Lasciala. Lasciala andare e mi vedrai.»

Allora lei richiuse gli occhi, si concentrò, e concentrò, finché spontaneamente non li aprì di nuovo, e lo stupore di prima fu ben poca cosa.

Dinanzi ai suoi occhi si estendeva un’immensa distesa verde, la quale emanava tutta una specie di polverina magica luccicante, tantissimi fiori che spuntavano variopinti e dalle forme più disparate, quasi irreali. Alcuni sembravano delle variopinte montagne che sorgevano a sprazzi sul manto erboso, altri piccolissimi tanto da sembrare piccoli picchiettii lasciati dal vento, alberi che estendevano delle fronde talmente vaste da coprire come tetti alcune parti ombreggiate di giardino. Uno scenario da vera favola.

«Dove siamo?»

«Questo è il vero giardino.»

«Che intendi con, vero

«Che quello che vedi intorno al tuo castello è soltanto una facciata, adattata alla visione degli umani, e non sono visibili tutte le creature che vi abitano. Non dal comune occhio umano.»

«Ma come… io le vedo. Ed ho visto anche te.» Poi si arrestò. Ancora non lo aveva visto, dato che si era incantata su quello spettacolo al di fuori del comune.

E rimase incantata un’altra volta. Era il più bel giovane che lei avesse mai veduto.

«Le vedi soltanto perché hai mantenuto il tuo cuore puro, come quello di un bambino. Hai mai chiesto a qualcun altro se le vedesse?»

«In realtà no, lo davo per scontato. Ma il giardino lo vedono, giusto?»

«Sono sovrapposti, noi vediamo questo» le disse, indicando con un palmo della mano il giardino. «E voi vedete il giardino che…»

«E tu? Tu non eri un Folletto?»  lo interruppe, dato che quella parte era chiara ed era troppo ansiosa di sapere. «Oppure ti ho visto come un Folletto, ed invece sei… ehm… cosa sei?»

«Io sono il Principe di questa valle.»

La Principessa rimase senza parole, era a dir poco inebetita.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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