IL CAVALIERE CHE TANTO AMÒ di Enrica Baldi

Tanto tempo fa, quando ancora esistevano castelli e Principesse, mostri cattivi e Maghi prodigiosi, viveva un Cavaliere dalla rilucente armatura.

Egli era il protettore del suo Regno. Uomo di fiducia del Re, con il suo esercito viaggiava in lungo e in largo per il Regno, assicurando che libertà, legalità e giustizia dominassero incontrastati.

Il Re era un Re buono, onde per cui non v’era spazio per soprusi o pressione delle tasse, i suoi sudditi erano felici e pagavano volentieri il minimo richiesto per mandare avanti il Regno.

Questo era il suo compito, ed anche il suo Destino. Viaggiare per l’intera sua vita. Era stata una scelta, non un’imposizione. Aveva scelto di offrire la sua vita al suo Regno, a completo servizio del Re.

Il cuore suo era ferito, di una ferita che certamente non si sarebbe mai rimarginata, eppure aveva deciso di andare avanti e quantomeno essere utile agli altri, giacché la sua vita era ormai segnata, nessuno scopo, nessun obiettivo personale. Non aveva più nulla da fare in questo mondo. Non per se stesso.

L’Amore è una cosa meravigliosa, ed una volta conosciuto è a dir poco arduo dimenticarlo. Meglio non averlo mai conosciuto, ecco cosa pensava il Cavaliere. Benché una vita senza senso, una vita vuota, tuttavia senza l’Amore non avrebbe patito le mille pene dell’inferno, avrebbe potuto affrontare la sua esistenza con più ottimismo, con maggiore vitalità. Con la voglia di vivere.

La sua Dama era perita, e con essa anche la sua anima. Il suo cuore non era potuto morire, sebbene ferito a morte, il dolore troppo grande per seguitare a vivere, ma non sufficiente per privarsi della sua vita. Doveva restare in vita per custodire la memoria di quell’Amore, unico, impagabile… doveva restare in vita per lei. Per il suo onore.

Ai nostri giorni probabilmente un uomo talmente innamorato si sarebbe tolto la vita, od avrebbe sfiorato con gran certezza la follia, ma a quel tempo esistevano parole come “onore”, “fedeltà”, “dignità”, “dovere” e “rispetto per la vita”, che di certo non assumono lo stesso valore, al giorno d’oggi.

Non emergeva luce di rivalsa o vendetta, dal grigio tetro dei suoi occhi. Nemmeno per coloro che avevano abbassato la scure sul suo soffio vitale, fendendolo. Era come un continuo fluire, automatico e sistematico. Un oggetto che segue la sua corsa, che ripete il suo ciclo, senza un’anima che possa scegliere destinazione o progetto.

Il Re, che lo amava come fosse un figlio, più volte aveva tentato di rinvigorire in egli il desiderio di vivere, organizzando balli di Corte in cui invitava le più belle e nobili damigelle del Regno, affinché egli potesse quantomeno alleggerire il suo tormento, innamorarsi di nuovo e sperare in uno spicchio di felicità. Ma il Cavaliere era fedele, fedele alla sua memoria e al suo cuore, fedele al suo Amore.

A nulla valsero gli sforzi del Re, perché egli visse la sua vita solo, solo senza Amore.


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Non è ben distinto come accadde il trapasso della sua adorata Dama. Ciò che è sorto dalle memorie ed ha attraversato i secoli, di voce in voce, di orecchio in orecchio, è la fine terribile che subì. Ed il motivo. Infatuatosi un essere malvagio, decise di condurla a sé, di possederla e di sottrarla dunque al Cavaliere.

Non ebbe tempo il Cavaliere, di salvarla, perché il mondo dove questa specie di Stregone la condusse non era accessibile agli umani, e soltanto attraverso un portale che solamente costui poteva aprire. Un portale creato da egli stesso, come quel mondo, e di cui egli unicamente conosceva la formula magica di evocazione.

Si suppone, che la Dama fosse morta. Perché da quel giorno non se ne seppe più nulla. Né di lei, né dello Stregone. Teorie, tra cui la più probabile, che tale mondo sia stato distrutto, e con esso anche loro.

Il ratto avvenne il giorno in cui era stata prevista l’unione, civile e spirituale, dei due innamorati. Il lato più struggente della vicissitudine fu che della Dama, il Cavaliere ritrovò soltanto il velo, fortuitamente agganciatosi al fermo di una finestra del castello, da dove sicuramente era stata prelevata dallo Stregone.

Disperata fu la ricerca del Cavaliere, in ogni luogo possibile del Regno ed oltre… ancora non sapeva che non l’avrebbe mai ritrovata, che la sua ricerca nel loro mondo fosse totalmente vana. Ed interrogò Maghi, Indovini, lo stesso Re intercedé per lui, ma fu tutto inutile. La Dama era svanita, e per sempre.

Una volta le comparve in sogno. E fu da lì che ebbe terribile novella della prigione incantata in cui ella fu rinchiusa, il mondo incantato i cui confini impossibili da varcare.

«Mio amato» aveva sussurrato tra le lacrime «sono prigioniera di un essere immondo, un Demone dal sembiante umano.»

«Dimmi, mio Amore sconfinato… dimmi dove quel maledetto ti ha portata!» l’aveva egli implorata, dibattendosi come un ossesso, sia nel sonno che nel sogno. Anche lì non poteva raggiungerla. Un sottile confine fatto di luce biancastra, come un velo, li separava dal tocco.

«Non oso pensare che tu possa mettere in giogo la tua vita per me… dimenticami… dimenticami…» lo liberava, liberarlo dalla prigione di un Amore senza vita.

«Giammai!» si era opposto, pressoché imbestialito. «Ti cercherò fin quando avrò respiro dalle mie nari ad inondarmi di vita, fin quando l’ultima goccia di sangue mi circolerà in corpo. Lo giuro sulla mia anima che ti appartiene, sul mio cuore che è soltanto tuo. Ti riporterò da me!»

«Non puoi, Amore mio venusto… Distrutto il portale, non v’è alcuna possibilità di unire i due mondi. Sono confinata qui, per l’eternità.»

«Allora ti salverò nel sogno, sortilegio per sortilegio, una via troverò!»

«Non puoi… non puoi…» aveva ripetuto fino allo sfinimento, tremori di lacrime e di dolore che la sussultavano in ciascuna fibra del suo disperato essere. «Io morirò, ma morirò nel tuo Amore. Dimenticami, ma non dimenticarmi.»

«Ti prego… svelami il nome del luogo dove sei imprigionata… ti prego!» Troppo tardi, il Cavaliere si era destato, e mai più si ripeté quel sogno. Grazia era stata devoluta, dal temibile mostro che le aveva concesso di trasfondergli quel messaggio. Unica sì. Un’unica grazia che forse era valsa la vita alla Dama.

E così il lieto fine mai ci sarà, non per questa storia. È e resterà simbolo della fedeltà e dell’Amore eterno.

Ma se nel mondo dei vivi ebbe il gran coraggio, e la grande forza di sacrificarsi per un bene superiore, il Cavaliere ora vaga e vagherà ancora, eternamente, alla ricerca della sua Dama, nell’aldilà e oltre…


© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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