Chrysallis

Vigilia… pare strano lo so, abitualmente il suo senso è senz’altro più generale, più ampio, per il comune sociale, una festa, una ricorrenza, una fede… ebbene in fondo, per me racchiude un po’ tutte queste cose, ed è per questo che questa notte ho deciso di festeggiare. Da sola. Qualcuno direbbe, e perché mai? Queste sono occasioni da condividere, ove gioire e “sfarfallare”. Momenti in cui amare, momenti da amare. È vero. Ma è anche vero che sto battendo questa strada in solitaria, e deve essere così, il termine di un percorso forse un po’ sui generis, ma di sicuro comune a molti di noi.

Vigilia e percorso, termini salienti per un semplice motivo. Questa è la notte del mio mese, entrante, mese di nascita che in quest’anno mi vedrà compiere un bel 42, tondo tondo, un 42 decisamente significativo. Dove credo che questo percorso sia agli sgoccioli. La mia trasformazione è quasi al termine. È andata.

Si direbbe, una coincidenza, e quando mai le date coincidono con le nostre tappe interiori, le nostre diritture d’arrivo? Vai di luogo comune, ma la sacralità o la battuta di una data è legittima pensarla solo a Natale, Capodanno, una Pasqua o la fine di un secolo. Io sono egocentrica, di fondo lo ammetto eccome, onde per cui le date sono unicamente mie, e le ricordo, me le incido sulla carne, tatuate nella mia mente e nessuno me le cancella.

Ed io festeggio, altroché se festeggio, giacché quanto ho raggiunto merita senza dubbio una tale solennità, solenne come il percorso che ho quasi terminato. E, per non parlare al vento o a vuoto o tanto per parlare… vi dirò quale.

Ho conosciuto un uomo, qualche anno addietro, in verità ne ho conosciuti molti… e chi non lo crederebbe. Dopotutto alla mia età è anche naturale, non sono una veterana ma resta comunque un determinato bagaglio vitale, per prima cosa emotivo. Ed ovviamente travagliato.

Un primo amore struggente, un secondo infiammante, un terzo quasi assassino, due convivenze, un matrimonio, tante parentesi sessuali od asessuate e poi… non saprei nemmeno definirlo. Non è “normale”, non è di questo mondo… ed è anche vero sì, ho amato tante volte, sono stata innamorata altrettante volte, con tutto di me, troppo di me… ma un amore così lungo non l’ho mai vissuto. E nemmeno così intenso. Autenticamente, intenso.

Si dice che il primo amore non si scorda mai, oppure che nulla è come il primo amore… forse sarò l’eccezione, o forse sarò la solita pecora nera, quella che volente o nolente, per forza o per sfrenato romanticismo, inusuale, passione cieca e avidità di sentimenti, non si è mai risparmiata, la briglia sciolta, il freno a mano difettato, mi sono sempre lanciata a precipizio ed ho sempre, provato, sentito, divorato passione e pensiero, consumato il più sottile strato della mia aura, il più incavato rifugio della mia anima.

Ma, e come sempre c’è sempre un ma, tornando ai luoghi comuni del “rovescio della medaglia”, invece di scendere, sfiancata e demotivata, pian piano sono salita, andata sempre più su, e sempre più di corsa, tanto da perdere il fiato perdere me, perderne il senso. Dovrebbe essere il contrario? Sì, per chiunque presumo.

Per me no, questa fame avida e mai deturpata dalla delusione o dal dolore, ha quasi preso il sopravvento, su di me, a tal punto da offuscarmi, via via, il preconcetto. Si badi, preconcetto per quel che intendo non è pregiudizio, prevenzione, insulsi paletti o standard mentali. E non è nemmeno un’opzione. È un preordinamento divino. È il concetto primigenio, primordiale. È puro. Il concetto preesistente, esistente da ancor prima della mia nascita, da ancor prima che nascesse il mondo. Il cerchio, e le due metà. Ricordate Platone? Essenziale concetto, eccolo. Diceva… all’albore della vita, eravamo cerchi, cerchi perfetti… molto semplice, elementare, ma è impresso, in me, sin dal momento in cui me ne hanno parlato la prima volta, come fosse stata una favola… Una favola, una certezza, un sogno o una realtà, quel che sia, per me è verità. Io c’ero, c’eravamo tutti. Anche tu. Quando quel lampo ci separò, dato che aspiravamo a diventare Dèi, ci sforzavamo di esserlo e in fondo lo eravamo, eravamo Dèi, sublimati da un amore completo, unico vero, il Tutto. L’Uno.

Ma quegli stessi Dèi, quelli lì, superbi e punitori, primi peccatori di vanità umana, perbacco se non se la presero! Ci scagliarono un lampo, dividendoci a metà, in due metà perfette, ci sparpagliarono ai confini della Terra per separarci e da allora eccoci qua… a vagare per il mondo, per l’eternità… a cercare la nostra metà, a ritrovarla, vita dopo vita, per ricongiungerci e sempre così, in un ciclo senza fine.


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E allora eccola, questa ricerca insaziabile che mi ha condotta a vedere in ognuno che abbia incrociato il mio sentimento “preesistente”, la potenziale metà. Affamata di destino. Irriducibile, insanguinata, con le mani tremanti sempre di nuovo in piedi, un colpo di spugna alle ferite e via, di nuovo in partenza. E ho detto bene, un colpo di spugna, perché è sempre e solo stato in superficie. Perché se in quella superficie la prospettiva pareva nuovamente linda e ferace, all’inverso quelle ferite marciavano a ritroso, mettendo su radici, profonde, ma così profonde che nemmeno io so dove sia l’inizio, e so che non c’è fine. Ed hanno cominciato a farsi sentire.

Allora una corsa al suicidio, poiché l’accanimento si trasformava mano mano in autodistruzione. Sì, un po’ come i bambini viziati… «Lo voglio!» Ma il prezzo? A quel livello il prezzo è salato, se non letale.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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