UN RAGGIO DI SOLE, Cap. 1

«Russ, aspettami un minuto, devo riscendere. Ho lasciato la ventiquattr’ore nell’auto.»

«Santa pazienza, Warren, sei sempre il solito smemorato, non hai seriamente speranze per questo.» Russell scosse la testa e alzò esasperato i palmi delle mani, nel mentre che si apprestava ad uscire dall’ascensore, meditando su quanto alle volte l’uomo riuscisse a spazientirlo. «Andrai dopo, ora voglio entrare in stanza per sistemare il bagaglio, e comunque dobbiamo prima accordarci per stasera, perché intendo riposarmi quando te ne andrai. Chiama l’autista per fartela recapitare alla reception, suppongo che il suo numero telefonico sia sul biglietto da visita che ti ha lasciato.»

«D’accordo, dopotutto per adesso non ne ho bisogno, posso anche farne a meno, visto che l’agenda elettronica ce l’ho in tasca» condiscese, e tracciò un gesto remissivo, pure un tantino prostrato, nell’aver recepito che, in pratica, ne aveva combinata un’altra delle sue. «Qual è la tua suite?»

«Dovrebbe essere quella» notificò lui, dirigendo un’occhiata indicativa ad una porta a pochi passi da loro, sulla sua sinistra, da cui il fattorino dell’hotel si stava addentrando con la sua valigia.

«Ma… Russ, come mai la porta è già aperta?» inquisì Warren, guardandolo sorpreso, e dopo essersi approssimato ad essa, drizzò la testa per scrutarne indagante l’interno.

Russell non gli accennò risposta, abbozzò solo un cenno di diniego, come a comunicargli di saperne quanto lui, ed entrò parimenti nella suite, ovverosia con un po’ di stupore stagliato in volto.

«Può depositarlo lì, grazie» prescrisse Russell rivolto al fattorino, indicandogli con una mano il posto dove collocare il suo bagaglio, e gli consegnò una sostanziosa mancia per congedarlo.

«È curioso… beh, in ogni maniera, come vogliamo risolvere la questione?» reclamò Warren, catapultandosi di nuovo sulle panciute spine, non appena il commesso si fu dissolto dalla loro vista.

«Warren, non tirarmi nelle tue pecche, è una cosa che devi risolvere tu stesso, tenendo ben conto che l’errore è stato unicamente il tuo, per la tua consueta mania di essere sempre troppo esigente» lo strigliò lui, abbastanza contrariato. «E comunque, anche in caso contrario, non è di mia pertinenza, sei tu che devi occupartene. D’altronde ti pago principalmente per questo, per non essere costretto ad occuparmi di dettagli del genere.»

L’uomo esalò un flebile sospiro scoraggiato, nell’esanimante consapevolezza di non aver molte idee aggiuntive di come risolvere la faccenda, e stava per replicare, quando entrambi avvertirono un rumore anomalo provenire dalla camera da letto. Sicché, dopo essersi scambiati uno sguardo stupefatto, s’incamminarono incuriositi in quella direzione, per verificare che cosa stesse accadendo.


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E rimasero ancor più stupiti, allorché intravidero una donna abbigliata in divisa di servizio che incedeva carponi sotto lo scrittoio della stanza.

«Ha perso qualcosa, signorina?» la interpellò Russell, con fare ironico ma intrigato, piuttosto divertito dalla scena che si stava consumando dinanzi ai suoi occhi.

A quell’inaspettata domanda la donna trasalì e, scattando per alzarsi da terra, riversò un forte colpo al ripiano con il cranio.

«Ahi!» strillò, ma subito si mise in piedi, rimettendo in ordine alla meglio gli occhiali che, a causa dell’urto contro lo scrittoio, si erano sbilanciati sul suo viso, e si sistemò con cura la gonna e il grembiule.

Russell a quelle solerti movenze sorrise rallegrato, specie nell’aver distinto la mina un po’ comica della donna. «Posso aiutarla?»

Lei avvampò in uno schiocco, trovandosi di fronte i due uomini, o meglio, uno in particolare, e in tutta fretta si apprestò a riordinare una ciocca di capelli che le si era liberata dallo chignon. «No, cioè… mi scusi…» E li oltrepassò percettibilmente tesa, imbarazzatissima.

«Russ?» Warren lo richiamò all’istante, dichiaratamente disturbato, avendo rimarcato che l’uomo seguitava a fissare in silenzio, e in modo parecchio sospetto, la donna scomparire dietro la soglia. «Non ti metterai a flirtare con le cameriere, adesso?»

«Piantala, Warren» lo censurò lui, seccato da quel molesto apprezzamento. «Sono pur sempre un uomo, avrò anche il diritto di guardare una bella donna.»

«Beh, se si tratta di guardare…» parodiò l’altro, un filino imbronciato, pur poco convinto di quelle generalizzanti ed elusive parole, giacché sebbene Russell non fosse un banale avventuriero di passaggio, anzi, tutt’altro, quell’inusitata reazione, sin troppo dilettata per i suoi gusti, lo aveva posto un bel po’ sugli allarmi. «Lo sai che Janice mi farà il terzo grado quando torneremo a Newcastle, e poi, Russ, una cameriera…» lo criticò, da ultimo, bardando un gesto di pingue sufficienza mediante il capo, con la sana e precisa intenzione d’innestargli in mente, un piccolo ma prevaricante tralcio di buonsenso.

«Ehi, non correre, lo sai benissimo che non sono il tipico avventuriero» gli rammentò Russell, avendo decodificato a menadito la sua screditante allusione. «E in ciascun’evenienza, mio caro Warren, non vedo quale differenza possa sussistere tra una donna e l’altra, quando si parla del tipo di occupazione. Sono basito, sinceramente non ti facevo così snob» si sdegnò infine, particolarmente irritato da siffatta superbia sbandierata.

«Ah! Non sono io che dovrei esserlo!» si sbizzarrì l’uomo, nel balsamico intento di insistere nella sua opera di sottile persuasione, in quanto lo riscontrava un po’ troppo motivato nel difendere quella tizia, una sconosciuta di cui non si sapeva né arte né parte. E poi, a conti fatti, era una che gli doveva debitamente stare alla larga, sia per la delicata reputazione di Russell che doveva quindi ben selezionare i soggetti con i quali aver a che fare, anche soltanto a livello di semplice conoscenza, sia perché, per sintesi, lei non era di uno spillo alla sua altezza. Né tanto meno Russell era alla sua portata.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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