LA SOFFERENZA NON UCCIDE, LA PAURA NON FA VIVERE, Cap. 2

«Stasera non sono per niente in vena di sorbirmi questa carrellata, meno del solito» sbuffò Leilah, accingendosi snervata a sfilarsi il suo microscopico top, al fine d’indossare la sua seconda specie di livrea prevista nella scaletta della serata.

La sua collega, che seduta dinanzi alla toeletta del loro camerino si stava rifinendo le ciglia con il mascara allo specchio, a quella sorta di lagnanza acrimoniosa, subito la guardò meravigliata. «Qualche incontro spiacevole?»

«Beh… grossomodo» sostenne, a mezza bocca, sedendosi davanti alla specchiera per controllarsi il make-up e l’acconciatura.

«Un uomo?»

«Anche» confermò, in una calcolata aria distratta, cercando in pari tempo di devolversi una sistemata ai capelli, un po’ a fatica perché, con la calura generata dal ballo, si erano piuttosto intricati e indecentemente scompigliati. «Dovrei pettinarmi, non sono molto presentabile… hai per caso una spazzola?»

«Come no, tieni.» E sorridendo la donna gliela passò. «Ultimamente sei un pochettino sbadata, non è da te dimenticare la tua attrezzatura di guerra!»

«In effetti non hai torto, ma in questo periodo ho più grattacapi del normale, come si dice, le disgrazie non arrivano mai da sole. A volte mi sorge il dubbio che questo aforisma sia stato coniato appositamente per me.»

Si diede un paio di spazzolate, ben inutili in verità, e sbuffò un’altra volta. «Ah, se ne vanno per i fatti loro…!»

A così stornellata facezia Penny ridacchiò rallegrata, pur studiandola con discreta accuratezza per quel suo curioso atteggiamento, o più in particolare per quello che, a ragion veduta, glielo aveva scatenato. «Sei pure un tantinello nervosa, o presumo male?»

«Sì, beh… forse un po’…» E sprigionò un sospiro, lasciando sconfitta la spazzola sulla toeletta. Era ormai improduttivo battagliare contro la sua capigliatura, non l’avrebbe certamente spuntata.


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«È per lui, per il tizio in cui ti sei imbattuta?» suppose, ma con un tono tale da non rendersi importuna, poiché di base non stringevano tanta confidenza. Tra loro esisteva unicamente un rapporto di lavoro, benché si recassero insieme al locale, lei di frequente l’accompagnava perché Leilah non aveva la possibilità di spostarsi in taxi, dati i suoi disagi economici, e non sempre era consigliabile che girasse in scooter a notte fonda.

Ma di base Leilah era una persona spropositatamente schiva, a dir niente riservata, principalmente sui suoi affari personali, e non solo con lei, lo era con tutti i loro colleghi. Di fatto non si lasciava avvicinare da nessuno, donne o uomini, in egual misura e a qualunque livello, qualsiasi tipo di relazione sociale fosse, e Penny aveva ormai imparato a rispettare la sua natura.

«Può darsi» s’affrancò Leilah, anormalmente, posposto che di regola non sbandierava di un minimo le proprie sensazioni, men che meno la sua emotività. Anzi, in casi di questo genere, o forse sempre in effetti, si stagliava imperiosa la sua scontrosa scorza protettiva, ovvero il suo metodo più facile e ferace, atto a non incappare in circostanze fastidiosamente ingestibili.

«Non mi dirai che sei vittima di un colpo di fulmine, Leilah, perché sarei meno sorpresa se vedessi un gruppetto di asinelli starnazzare tra le nuvole!» si sbracò, dichiaratamente giocherellante, ma sempre con aria poco indiscreta, a fronte di summenzionati, incisivi motivi.

Anche lei rise, si allietò. «Certo che no, non lo è, dopotutto non so neanche cosa sia un colpo di fulmine. Voglio dire, quell’uomo m’intriga, però…»

«Ma è un cliente del Lamplight?» districò, impulsiva, forse facilitata da quell’insolita affrancazione, per lei abbastanza sbalordente ma più di tutto invogliante.

«Credo, cioè, no… non ne ho idea» farfugliò, guardando noncurante altrove per evitare di imbarazzarsi. «È la prima volta che lo incontro, perlomeno qui dentro.»

«Ah, perché, lo conosci?»

«Hm» abbozzò. «È un associato del Pony Express.»

«E che tipo è?» perdurò l’altra, assai pungolata da quel nuovo modo di colloquiare. Le stava consentendo di continuare ad osare, per altresì scoprire come fosse in realtà Leilah, era ora, svelare i misteri che l’avevano sempre incuriosita sul suo conto, lei che non svelava mai qualcosa di sé e della sua vita, e magari non tanto per mera riservatezza, bensì innanzitutto per paura. Era come se patisse un preminente timore di avvicinarsi affettivamente a qualcuno, non che Penny ne avesse la piena certezza, non ne era mai stato discusso essendo loro due semplici conoscenti.

Infatti, questa era solo un’ipotesi difficoltosamente elaborata, che lei aveva potuto formulare in base agli elusivi atteggiamenti mediante cui Leilah lo aveva costantemente dimostrato.

«Insomma, ti chiedevo, com’è?»

«Spettacolare» compendiò lei, muovendo con volitiva enfasi la testa per avvalorare la sua valutazione.

La donna raddrizzò con un guizzo la schiena, questa volta ne fu stratosfericamente sbalordita, se non allibita. «Ehi, ho un’allucinazione o sei proprio tu a parlare?»

Leilah sogghignò di straforo, allietandosi ancora. «L’ho incontrato oggi pomeriggio, durante una consegna che ho dovuto fargli nella sua ditta, però è abbastanza probabile che sono rimasta colpita perché non mi aspettavo d’incontrarlo qui. Al primo impatto non sembra che faccia parte della categoria di uomini che frequenta locali come il Lamplight, e poi la coincidenza, insomma, che oggi l’ho conosciuto e stasera me lo ritrovo qui.»

«Allora… pensi che lui sia venuto qui per te, per rivederti?» azzardò la collega, che si faceva man mano più sbigottita alle sue spontanee confidenze.

«Lo escludo, non era indubbiamente a conoscenza che lavoro anche in questo club. Come potrebbe, e poi figurati, per l’uomo che è, dubito che lui possa interessarsi ad una tipa come me» soppesò lei nel mentre che, sospirante, si erigeva dalla sedia per procurarsi i suoi prossimi abiti di scena.

«E perché lo escluderesti, cosa te lo farebbe teorizzare?» analizzò, marcatamente scettica che quell’uomo, che un qualunque uomo fosse al di fuori della sua portata. Come convinzione era di gran lunga confutabile, poiché da quanto ne sapeva lei, da quello che aveva sempre constatato da quando lavoravano assieme, erano tutti lì a fare la fila per poterla sedurre, prontissimi ad agire ad un solo suo cenno.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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